Roberto Maroni si candida alla Regione e ad appoggiarlo, oltre a quella della Lega, non ci sarà soltanto la lista civica già annunciata («Per Maroni presidente»), ma più simboli di candidati a lui collegati. Tutti rigorosamente non leghisti e pescati tra società civile, liberi professionisti, commercianti, artigiani, sindacalisti e volontariato. Perché, racconta il segretario lombardo Matteo Salvini, «c'è una tale richiesta che solo ottanta posti di candidato non bastano». E molti, spiega, sono anche gli amministratori locali delusi dal Pdl che vorrebbero appoggiare Maroni. A cui nemmeno la fuga in avanti di Gabriele Albertini e la decisione finalmente presa da Umberto Ambrosoli hanno fatto cambiare idea. E ora aspetta solo il timbro ufficiale del consiglio federale del Carroccio convocato oggi. Nessun dubbio dell'ultima ora, solo un rispetto del galateo di partito, assicura un fedelissimo, perché Maroni insieme allo staff scelto per la campagna elettorale «sta già lavorando da quindi giorni al programma». E la scelta, in un momento in cui c'è un affollamento mai visto di aspiranti governatori di area moderata sia a destra che a sinistra, è di pescare non solo nel tradizionale bacino elettorale leghista, ma di proporre un progetto trasversale.
«Se il consiglio federale mi chiederà di candidarmi - ha detto ieri Maroni a Bologna durante la manifestazione contro il governo Monti -, io dirò di sì». Parole ormai definitive. E l'unica flebile possibilità di un ripensamento è affidata a un ancora possibile patto tra Maroni e un Silvio Berlusconi tutt'altro che entusiasta di veder buttata a mare l'alleanza con la Lega che gli ha consentito di vincere tante sfide. Ma di certo, spiega un big leghista, «molto difficilmente il candidato su cui convergere potrebbe essere Albertini». Con cui lo scontro è andato ormai già troppo avanti. E allora è davvero difficile pensare che Maroni lasci il campo. «Basta Monti, basta tasse, basta Roma. Non è l'Aventino, al contrario, è una nuova fase di quello che Umberto Bossi chiamava il progetto egemonico della Lega. Diventeremo il primo movimento politico di tutte le Regioni del Nord», il suo proclama dal palco di Bologna con cui ha dato il via alla sua campagna elettorale annunciando che dopo la Legge di stabilità e la Legge elettorale, la Lega ritirerà le sue delegazioni da Camera e Senato. E così tutto torna. «Per me convinto federalista, non c'è niente di più importante di essere al governo nella propria regione». Due i punti del programma. «Per la Lombardia, il 75 per cento delle tasse deve rimanere lì. Sfido gli altri candidati a vedere se i loro capoccia romani gli fanno dire qualcosa del genere». E poi «lotta senza quartiere alla criminalità organizzata per tenerla fuori dalle istituzioni». La crisi del modello Formigoni? «La Lombardia non è caduta perché la Lega abbia tradito i patti, la Lega non tradisce. Ma la Lega non ha potuto sopportare che ci fosse un assessore del Pdl arrestato per concorso esterno con la 'ndrangheta». Nessuna paura di spaccare il centrodestra. «Noi siamo per le scelte semplici e coraggiose. Siamo pronti alla battaglia, a sfidare il mondo».
Mentre il vice presidente della Regione Andrea Gibelli alza i toni della campagna per l'election day. «Accorpare regionali e politiche ad aprile significa risparmiare milioni di euro che, soprattutto in periodi economicamente difficili, non è poco. Chi non è d'accordo, non fa l'interesse della gente».
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