Maroni al tutto per tutto: «La segreteria leghista la lascio anche se perdo»

«Che vinca o che perda, ci sarà un nuovo segretario. E un nuovo partito». Roberto Maroni l'aveva già detto domenica presentando la lista civica che appoggerà la sua corsa a governatore. Ma ieri citando anche Che Guevara («chi lotta può perdere ma chi non lotta ha già perso») l'ha ripetuto al quotidiano on line L'Indipendenza, guidato dall'ex direttore della Padania Gianluca Marchi. E quindi adesso l'abbandono del vertice del Carroccio e l'ipotesi della nascita di «un nuovo partito che superi gli attuali partiti», sono ben più che propaganda da campagna elettorale. «Per cui nell'autunno prossimo - ha spiegato Maroni - o al massimo nella primavera del 2014, prima delle elezioni europee, si terrà il congresso federale per scegliere la nuova guida del movimento».
Abbastanza per scatenare politologi e soprattutto dietrologi ora impegnati a pronosticare il futuro di un movimento che solo qualche mese fa qualcuno dava già per defunto dopo i pasticci della «Bossi family» scoperti nella cartelletta custodita dall'ex tesoriere Francesco Belsito. Ed è a quelle storie che oggi in molti tornano per decifrare la cronaca odierna. Perché a rilanciare il Carroccio non bastò certo la notte delle ramazze nel palazzetto dello sport di Bergamo. Per Maroni, si dice, ci volle anche un patto con i leghisti veneti, orgogliosi e stanchi di anni di dominio lombardo culminati nello scandalo dei diamanti e degli investimenti in Tanzania. Certo non solo in quello, ma la voglia di scalare il vertice del partito tra i serenissimi è sempre stata una delle principali ragioni di vita. Almeno politica. E allora oggi c'è già chi dice che Maroni stia pagando ai veneti quel debito contratto al capezzale di una Lega morente: la candidatura a governatore della Lombardia, in cambio dell guida del partito. In un secondo momento, perché certo allora sarebbe stato troppo presto e passare immediatamente dalla guida di Umberto Bossi a quella di un veneto, sarebbe stata cosa non digeribile per i militanti lombardi. E soprattutto i barbari sognanti, quei maroniani già pronti al regolamento dei conti con il cerchio magico bossiano. E, infatti, la ricostruzione non convince un colonnello lombardo oggi molto vicino a Maroni. «La Lega in mano ai veneti? È impensabile». Sicuro? «È impensabile». Si vedrà.
Per ora c'è la Padania che mette in prima pagina i «50 milioni di euro al giorno» che per la Lombardia significherebbe il primo punto del programma di Maroni che promette di tenere sul territorio il 75 per cento delle tasse. «Se vincerò - spiega -, sarò il garante istituzionale del percorso verso la macroregione, mentre il nuovo segretario dovrà realizzare il progetto politico del nuovo partito del Nord. Se invece perderò, mi farò da parte perché ritengo che un leader che si candida non può riciclarsi se viene sconfitto».

E con questo scenario «il movimento dovrà fare reset, inventarsi qualcosa di nuovo e cercarsi un segretario più giovane». Cosa che succederebbe anche con Maroni vincente e presidente della Lombardia. Chiaro che a questo punto l'identikit è quello del segretario lombardo Matteo Salvini.

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