Via Martini, una targa al cardinale più amato

Da ieri cambia nome via Arcivescovado Molte le persone presenti, credenti e non

U na cerimonia di strada, luogo aperto dove arriva chi è qui per lui, Carlo Maria Martini, con un impegno e un desiderio coccolati e annotati in agenda da tempo, e chi lo incontra o lo rivede per caso nel mezzogiorno assolato di quest'angolo di piazza Duomo che cambia nome. Un po' come accadeva in vita, al pastore profondo e profetico, di essere ponte tra i vicini e i lontani, tra i credenti e i non credenti, tra il già e il non ancora.Alzi gli occhi sulla targa della vecchia via Arcivescovado che non è più lei, coperta dalla croce rossa su fondo bianco, la bandiera del Comune, accanto a un'immagine del vescovo Carlo Maria discreta come la sua figura asciutta e ascetica, quando passeggiava sotto queste mura, perimetro della sua vita di ventidue anni alla guida della Diocesi, fino al momento del ritiro voluto eppure sofferto. Pochi attimi, sotto lo sguardo attento del sindaco, Giuliano Pisapia, del cardinale Angelo Scola, e il nipote Giovanni tira giù il drappo, semplice come un tessuto casalingo. Ecco la scritta: Via Carlo Maria Martini, cardinale, 1927- 2012, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2012.È un gesto piccolo eppure grande, dedicare questo quadrilatero di Milano a un uomo che ne ha scritto pagine di storia. Piazza Fontana, lì dietro l'angolo, ricorda Maris Martini, sorella devota e appassionata, è spazio simbolico di una fusione tra l'impegno spirituale e civile in lui inestricabile. «Nel 1984 due terroristi, forse dopo aver preso un caffè, entrarono da piazza Fontana per consegnare due borsoni pieni d'armi. La fine della lotta armata in Italia» racconta Maris a quella piccola folla di gente, milanesi e turisti, che si arricchisce ogni minuto di nuovi arrivi, fino a riempire come un tappeto umano i confini della nuova strada. Forse non tutti i presenti sanno che fu all'arcivescovo Carlo Maria che i due terroristi decisero di consegnare le armi. Un gigantesco gesto di pace.Via Carlo Maria Martini. Carne di vita vissuta sulle tracce di sant'Ambrogio, politica e Vangelo. Ne parla il cardinale Angelo Scola, nell'omelia della Messa in Duomo e poi all'aperto, in questa piazza sussurrata e monumentale insieme. Privata come i sentimenti del popolo, gente comune, vergini consacrate, uomini politici. Ci sono Fabio Pizzul, Alberto Mattioli e Marco Granelli, cresciuti alla sua Scuola della Parola, Filippo Penati che lo conobbe come guida dei lavoratori travolti dalle trasformazioni post- industriali, il candidato della sinistra Giuseppe Sala che l'ha citato tra i modelli. Pisapia dice che Martini «mi ha illuminato il cammino» con una sua frase celebre, che «chi è orfano della casa dei diritti, difficilmente sarà figlio della casa dei doveri».Fu il sindaco Gabriele Albertini a salutarlo il 28 giugno 2002, quando Martini tenne il discorso di addio alla città nell'aula del consiglio comunale riunito in seduta straordinaria, tra le mani la grande medaglia d'oro con sant'Ambrogio, dono di Milano al vescovo che l'aveva accompagnata e a volte sferzata per ventidue anni, da quando nel 1980 era arrivato a piedi col Vangelo in mano. Cita quelle sue parole il cardinale Scola: «La città è luogo di una identità che si ricostruisce continuamente a partire dal nuovo, dal diverso, e la sua natura incarna il coordinamento delle due tensioni che arricchiscono e rallegrano la vita dell'uomo: la fatica dell'apertura e la dolcezza del riconoscimento».

Fatica e dolcezza, una Milano che «non può, nel nome dell'identità, perdere la sua vocazione all'apertura, perché proprio questa è iscritta nella sua identità, cioè la capacità di integrare il nuovo e il diverso». Una città aperta, una cerimonia in strada. Leggi via Carlo Maria Martini, vedi oltre.

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