Cronaca locale

La messa «notturna» di Don Marco: «Così ho riportato i giovani in chiesa»

In via Pisacane boom di fedeli: «Il segreto? Parole semplici e... musica»

Marta Calcagno Baldini

Milano è una città entusiasta, i cittadini partecipano attivamente alla vita di quartiere, e anche amano girare e scoprire nuove aree della città. A fare notizia in questo caso sono due preti, Don Marco, e Don Alberto: rispettivamente hanno 37 e 32 anni, il primo celebra la messa, e il secondo suona l'organo. La funzione che officiano da settembre ogni domenica sera, alle 21, nella Parrocchia di San Vincenzo de' Paoli in via Pisacane è via via sempre più gremita di fedeli. Sarà l'ora tarda per una messa, ma scorrendo i visi che entrano ad ascoltare la celebrazione si scopre una platea che va dai dagli 8 ai 50-60 anni, con una prevalenza di venti-trentenni. A sentire loro «è perché qui siamo vicini a Città Studi e questo è periodo d'esami. I ragazzi finiscono tardi di studiare e prima di tornare a casa passano dalla chiesa». Ciò che coinvolge e porta le persone a tornare sono le parole di Don Marco e la musica di Don Alberto. È il fatto che si tratti di una messa agile, ritmata, convincente nei contenuti e con una buona componente sonora. Insomma, una celebrazione che dà il giusto peso alla forma senza appesantirne la sostanza. «Il carisma della presidenza è di Don Marco - confida don Alberto-: propone un Dio amico, che ascolta, che aiuta, che ama, che vuole bene». E infatti le sue omelie sono moderne, spesso sanno toccare l'animo e la parte più intima delle persone: «Ognuno di noi fa i conti con le sue ferite, la sua fragilità -dice don Marco spiegando chi è Dio per lui-: proprio lì arriva la compagnia di Dio che ti salva e ti tira fuori. È Dio che ti chiede una relazione con lui. E la sorpresa delle sorprese è che la messa è questa cosa qua: è già rivoluzionaria da sola. È l'incontro più diretto con Dio, con dei segni di una semplicità spaventosa». E così, parlando, si scopre che Don Marco lavora come prete all'Ospedale Fatebenefratelli di Milano: «Attenzione: il sacerdote è sempre un mestiere d'incontro. E in ospedale si trova quotidianamente l'uomo nel suo vissuto, la sua fragilità, nel suo limite, nel suo dolore, la sua speranza, la sua lotta, e nella sua gioia: tutti i giorni ti viene addosso questa umanità, e ti accorgi che il desiderio di Dio è quello di dare aiuto a chi soffre». E si scopre anche che don Marco ha sempre vissuto a contatto con i bisognosi: «In ospedale sono da settembre, ma prima ero in Caritas e per 2 anni al carcere di Opera». Umanità, per Don Marco, spesso fa rima con solitudine: «Ce n'è troppa. Basta confessare. E insegno anche a scuola, mi rendo conto dei giovani, le loro paure... quando suona l'intervallo la prima cosa che fanno è guardare il cellulare». E questa messa della domenica sera sembra un momento di compagnia, oltre che di religione: «La vera notizia -conclude don Marco- è che a fronte di chi dice che oggi la messa non ha niente da dire dimostri che ci vuole tutta la grammatica della bellezza per coinvolgere le persone. La parola di Dio a volte basta davvero da sé. Ma va letta bene, spiegata. Va proclamata in modo convincente». E queste due figure di preti giovani, che credono nella loro scelta, riescono a coinvolgere molte persone.

Don Marco uscendo dalla chiesa veste in jeans e giacca: «In ospedale porto sempre l'abito da prete, qui è un mio peccato di vanità» dice scherzandoci sopra.

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