Milano in coda per l'ultimo saluto al suo Jannacci

Un paio di scarpe da tennis blu, piccolissime, da neonato, nascoste tra i drappi della bara dove Enzo Jannacci ha tenuto ieri il suo ultimo concerto del silenzio, davanti a una fila di quattromila persone che frusciava con rispetto al teatro Dal Verme. Tutti si fanno il segno della croce di fronte alla salma del «poeta» - come lo chiama la gente - in giacca, cravatta e con gli immancabili occhiali sopra le palpebre chiuse; gli uomini si levano il cappello. «Gli sono grato ancora una volta perché sta riunendo Milano nell'amore» sussurra il figlio Paolo, di Enzo goccia d'acqua. Su un tavolo foulard del Milan, fiori, biglietti donati da uomini, donne e bambini. Quattro registri funebri su cui segnare la firma e nessuno se ne va senza lasciare il nome.
Le lacrime sono un contagio vivente, segni della nostalgia più che della tristezza del lutto. «Era l'unico che sapeva far ridere e piangere nello stesso tempo» commenta Giulio Falco. La moglie, Giulia Falco, era chiamata «Signora Swing» dal cantautore, perché gli ricordava le parole delle canzoni che Jannacci spesso dimenticava. «Una volta arrivò alla presentazione di un libro su un motorino e con un giubbotto arancio - racconta Giulia Falco -. Gli chiesi: «Come sta?». Mi guardò sorpreso: «Davvero a lei interessa come sto?». Era stupito di questo gesto di cortesia, perché al mondo non ce ne sono più, e talmente felice che mi disse che avrebbe cantato una canzone solo per me: «Ti te se no». Qualcuno ha notato che era ateo. Falso. Enzo vedeva Cristo in ogni barbone».
Oggi la camera ardente rimarrà aperta fino alle 13, prima dei funerali che saranno celebrati a Sant'Ambrogio alle 14.45 da don Roberto Davanzo, direttore della Caritas, che edita un giornale titolato come il celebre brano: «Scarp dé tenis».
Un bambino e una bambina, fratellini di otto e dieci anni, spiegano: «Ieri sera abbiamo ascoltato per la prima volta in tv una sua canzone. Non ci abbiamo capito nulla, perché era in milanese e noi siamo veneziani, ma abbiamo sentito che era bella. Siamo venuti qui, curiosi di conoscerlo e non ci ha fatto paura di vederlo nella bara». Il commento più sincero: «Era uno di noi». Così lo dipinge Antonella Borgonovo. Alcuni invece rammentano la sua vita di medico. «Mia moglie stava per morire di pancreatite acuta necrotica - nota Giacomo Colombo -. L'ha salvata, perché la notte che è stata ricoverata lui non è partito per le vacanze come doveva fare. E' rimasto a Milano per assisterla. E' stato un uomo». Tanti sentimenti sbocciano nella camera ardente di Enzo Jannacci, allestita in un primo d'aprile che profuma un po' di scherzo.

Come era Jannacci: scherzosamente malinconico, pizzicato dalla morte forse perché l'altro giorno aveva messo il palo della Banda dell'Ortica fuori di casa sua. Quando la morte è passata il palo non l'ha vista. Si va via con la geniale leggerezza con cui si è vissuti.

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