«Milano, eccomi qui: sul palco canto i diari della mia vita»

Il cantautore romagnolo stasera al Carroponte «Sono meno cerebrale e do più spazio alla musica»

«Milano, eccomi qui: sul palco canto i diari della mia vita»

Ci sono molti cantautori che col passar del tempo esauriscono la vena. Non è il caso di Samuele Bersani, romagnolo di 44 anni, che torna a calcare le scene milanesi forte del successo del suo ottavo album «Nuvola Numero Nove». Stasera approda sul palco del Carroponte, il festival musicale più lungo della città che si tiene nella ex zona industriale di Sesto San Giovanni.

Un successo di vendite e di pubblico che vale doppio, Bersani, anche perchè oggi il cantautore è una figura un po' controcorrente...

«Vero, oggi il mercato della musica non perdona, ma io sono sempre andato dritto per la mia strada e ho voluto rispondere anzitutto alle aspettative verso me stesso. Ciò mi ha spinto a ricercare storie nuove anzichè storie esteticamente... carine».

E infatti dai tempi di canzoni come «Chicco e Spillo» a quelli di «Giudizi Universal»i fino a «En e Xanax», pare un salto quantico. Qual è il Bersani in cui più si riconosce?

«Non so, per me ripercorrere i miei brani è come andare a rileggere i diari di una vita e oggi tante cose del passato non le scriverei mai allo stesso modo, non solo perchè ero più giovane...».

Comunque l'ha sempre contraddistinta una vena un po' cerebrale, non solo per via degli occhiali...

«È un aspetto che per me è controverso. Diciamo che in passato ero un po' attorcigliato su me stesso e avevo un modo di scrivere più criptico. Ora invece, e in questo l'età aiuta, ho raggiunto una mia semplicità e do anche più importanza alla musica. Ovviamente non punto alla canzonetta, ma in questo la musica è strana e implacabile: una parola è troppo poco e a volte due diventano troppe...».

Lei è stato un pupillo di Dalla che ha promosso molti dei suoi dischi, ed è cresciuto in un'epoca musicale dai modelli «forti». Come si trova a produrre oggi?

«Allora i cantautori erano un modello di aggregazione ed erano un grande megafono dei sogni giovanili. Oggi tutto è più frammentato, le case discografiche sono irraggiungibili, però ci sono anche più opportunità per essere liberi di raccontare ciò che si vuole (se si ha qualcosa da dire), ci sono anche più strumenti di comunicazione».

Si riferisce a internet o alla televisione?

«Parlo ovviamente della rete, perchè la televisione può anche generare illusioni e meteore. La tecnologia aiuta (anche ad autoprodursi), a patto che questa facilità non generi appiattimento e superficialità. La musica è una cosa seria, è una disciplina e non deve diventare un'application...»

E i talent?

«Stesso discorso. Personalmente sogno un programma in cui non ci siano solo talenti nell'arena, ma anche giovani che vengono ripresi nei propri studi mentre scrivono, mentre compongono...».

Lei scrive tutto vero?

«Quasi tutto, d'altra parte in casa mia si è sempre respirato musica, mio papà è un flautista, è stato lui a iniziarmi».

Quello di Milano è un ritorno per lei. La città l'aiutata artisticamente?

«A Milano sono molto legato, ho tanti amici e qui ho mixato molte delle mie canzoni, nello studio di Mauro Pagani per esempio. Poi ho fatto un video con i Masbedo, e nel mio disco c'è un brano, “Il Re muore“ scritto a quattro mani con la band milanese degli Egokid».

Prossimi progetti?

«Beh, a proposito di Milano sto preparando uno spettacolo in formula orchestrale per Expo, scritto assieme a Virginia Guastella per i Pomeriggi Musicali. Sarà al Teatro Dal Verme».

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