Cronaca locale

«A Milano quel museo della filosofia che ricorda Leonardo»

Il docente racconta la città dove si inaugura la prima mostra permanente sul Pensiero

«A Milano quel museo della filosofia che ricorda Leonardo»

A Milano siamo abituati a vedere di tutto, eppure un Museo della Filosofia proprio non ce l'aspettavamo. Saranno le nostre radici platoniche, fatto sta che l'idea sembra ossimorica: come mettere in mostra l'arte della riflessione, la passione speculativa, l'amore per la conoscenza? Come rendere concreto il non-plus-ultra dell'astrazione? Perché non chiederlo a Stefano Zecchi, uno che alla Statale ci ha passato una vita? Per oltre trent'anni, dalla sua cattedra di Estetica, ha visto cambiare la società, il gusto, il nostro modo di vivere e di pensare.

Professor Zecchi, arriva un Museo della Filosofia. Mettere in mostra il pensiero, che idea è?

«Un'idea molto bella, dipende poi da come si realizza. Può diventare una cosa splendida come una grande banalità. Io non sono stato coinvolto nel progetto, ma il mio pensiero è andato subito al Museo delle Scienze di Trento, di cui da un mese sono Presidente: credo sia uno dei musei più belli al mondo, non solo per il progetto di Renzo Piano ma perché instaura un dialogo costante proprio tra concretezze e astrazioni. Mi hanno coinvolto per trovare una sintesi fra la dimensione scientifica e quella umanistica. Alla Statale sono ben presenti entrambi i filoni, quello della scienza e quello teoretico-estetico: sono curioso».

Da dove partirebbe in un ipotetico percorso?

«Senza voler dare suggerimenti non richiesti, per una musealizzazione del pensiero filosofico prenderei avvio dalla bellezza. Quella delle rappresentazioni visive, del suono. Arte, musica, ma le possibilità sono moltissime. Pensi ad esempio alla storia dell'oggetto-libro, nelle sue diverse forme sviluppatesi nei secoli. O anche a un genio come Leonardo, connubio perfetto fra scienza e umanesimo».

Ma la scienza lascia ancora spazio alla filosofia?

«Sempre a proposito del Museo, ho letto che un tema cruciale sarà quello dei grandi interrogativi dell'uomo. Le domande di senso, quelle fondamentali, restano sempre. Le visioni del mondo, le religioni, le credenze non sono affatto scomparse, e anche laddove si cerchino strumenti di valutazione oggettiva delle modalità di pensiero, alla base c'è sempre un pensiero».

E con internet come la mettiamo?

«Che ci vuole il pensiero per farlo funzionare, altrimenti è una macchina senza cervello».

Lei è molto legato a Milano. La trova una città filosofica?

«Non in senso stretto. Credo che la vera vocazione di Milano sia la musica. D'altra parte il suono ha un contenuto filosofico ed estetico fortissimo. Pensi alla lira di Ermete, il primo strumento della mitologia, e al significato che ha assunto il termine lirica, espressione dei moti intimi dell'animo».

Ha insegnato in Statale per più di trent'anni, fino a poco tempo fa. Come sono cambiati i suoi studenti?

«Sono arrivato a Milano nel 1984, dopo qualche anno da ordinario a Padova. I giovani di allora erano più idealisti, ideologici. Sentivano il bisogno di concretizzare la loro visione del mondo. Oggi vedo un ripiegamento più individualistico, intimistico. Ma sono sempre figure strane, affascinanti e per certi versi anche un po' patetiche».

Sapevano che poi sarebbe stato difficile nel mondo del lavoro?

«Dal primo all'ultimo giorno che ho insegnato, ho esordito dicendo più o meno: So quanto avete combattuto in casa per venire a fare Filosofia. Ma credetemi, meglio un filosofo disoccupato che un ingegnere disoccupato. Queste parole li toccavano, allora come oggi. E alla fine quelli bravi trovano la loro strada. Ciampi e Marchionne erano laureati in Filosofia».

Adesso si occupa ancora di bellezza.

«Tre anni fa ho fondato l'Accademia Internazionale di Scienza della Bellezza. Alla Fondazione Collegio delle Università Milanesi, in un bell'edificio progettato negli anni Settanta da Marco Zanuso in via San Vigilio, organizziamo corsi e approfondimenti. Oltre a manifestazioni, come all'ultima Biennale di Venezia».

Come definirebbe l'epoca in cui viviamo?

«Un'epoca di nichilismo elementare, in cui prevale un sentimento pratico e funzionale della vita.

Si cerca di sorpassare i problemi semplicemente fingendo che non ci siano».

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