«Mio marito non era un eroe ma faceva solo il suo dovere»

«Mio marito non era un eroe ma faceva solo il suo dovere»

«Chi difende le istituzioni come mio marito non è un eroe». Il tailleur nero non sa di vecchio lutto. Ha il nitore dell’elegante dignità di una signora dal cuore antico che il tempo ha trasformato in luce, come le ciocche chiare che illuminano i capelli. Antica, eppur terribilmente moderna, quasi futura, è la frase di Gemma Capra Calabresi che contiene la parola più epica riferita ad un uomo, a un vir avrebbero detto le madri, delle madri, delle nostre madri, quando parlavano in latino: «eroe».
Lei, donna, ha la spigliata naturalezza di toglierla dall’eccezione e dall’accezione che gli attribuiamo di consueto, per estenderla a tutti, in mezzo a coloro che si sono riuniti in folto gruppo nel 66 Congresso provinciale dei mutilati e invalidi per servizio delle forze dell’ordine e forze armate dello Stato. Con un istinto tutto femminile di eroismo - non scordiamo che la sua radice è eros, amore - esordisce Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi, assassinato nel 1972 da un commando legato a Lotta Continua.
«Chi difende le istituzioni come mio marito non è un eroe, ma è l’esempio di un cittadino come dobbiamo esserlo tutti. Se un uomo o una donna hanno il concetto di giustizia, di patria, di sicurezza si comportano in questo modo».
Lei sta dicendo una cosa che in un certo senso rivoluziona la storia.
«Trova? In base alla mia vicenda personale, credo che l’eroe non sia la persona che ha un maggior senso dello Stato o il ragazzo che si alza per entrare nelle forze armate. L’eroismo non è il significato speciale che acquisisce colui che viene ucciso. E’ il nostro impegno quotidiano di cittadini consapevoli. Dobbiamo dirlo soprattutto ai giovani. Tutti sono eroi in ogni momento, perché i ragazzi siano motivati ad agire».
Qual era il suo lavoro?
«Se lo dico si mette a ridere, come fanno in molti».
Lo dica, non riderò.
«Ero un’insegnante di religione. La gente non tiene in considerazione questo lavoro».
E sbaglia.
«Certo. La fede è forza. I figli e la fede sono stati sempre con me, perché il dono più grande della fede è che non ti fa mai sentire sola. La religione e i bambini mi hanno dato il respiro di una vita che non si è mai fossilizzata nell’attimo del dolore. Nulla toglie il dolore, ma la memoria non deve essere solo ricordo, quanto vivente e vitale impegno civile quotidiano».
Milano. 17 maggio 1972.
«Fra nemmeno due mesi sono ben quarant’anni che mio marito è stato ucciso. Pensi, io avevo ventitre anni e in quel 17 maggio mancavano solo tredici giorni al nostro terzo anniversario di matrimonio».
Luigi Calabresi sapeva che sarebbe stato assassinato.
«Nell’ultimo periodo di vita sì, se lo sentiva».
L’Italia del terrorismo. L’Italia di oggi.

Siamo peggiorati o migliorati?
«La situazione odierna non è delle migliori, ma in questo Paese non c’è stato nulla fino ad ora peggiore del terrorismo. Nulla».
Potrebbe ritornare?
«A volte ho pensato di sì. Ma se devo essere sincera, di fronte a questa domanda non ho mai avuto una risposta certa»

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica