Paolo Ghia è professore associato di Medicina interna all'università Vita e Salute del San Raffaele. Specializzato in linfomi e onco-ematologia. Per lavoro viaggia parecchio: convegni, seminari internazionali, tavole rotonde con i medici di tutto il mondo. Molti gli obbiettivi professionali raggiunti. E tra questi spunta anche un «extra», del tutto inaspettato. Il medico è il viaggiatore lombardo Alitalia che ha percorso più miglia: a lui va il record 2016.
Dottor Ghia, facendo due conti, lei ha volato per 230mila chilometri in un anno. Praticamente è come se avesse fatto per sei volte il giro dell'equatore.
«Addirittura? Ammetto di non aver mai fatto il conto».
Non si aspettava un record del genere?
«Non ci ho mai pensato, per me è stata una vera sorpresa».
Quindi lei vive perennemente con il trolley al seguito?
«Praticamente sì. I miei viaggi a volte durano 12 ore appena. Il tempo di arrivare, farmi una doccia in hotel, parlare al convegno e tornare indietro».
Sembra avvincente.
«Sì, ma è anche molto faticoso. Sono sempre di corsa. Però è molto interessante confrontarsi con i colleghi di tutto il mondo».
Dove è stato recentemente?
«In Giappone, in Corea, tre volte in Australia, di cui una con la mia famiglia. Ma ho viaggiato in Economy. E poi in Brasile, in Argentina e in Messico, dove invece ho viaggiato in Business class».
Cosa fa durante il viaggio?
«Dormo tantissimo perché non so mai cosa mi aspetta. Faccio scorta di riposo. Ad esempio in Kuwait, i seminari erano programmati tutti la sera e quindi viaggiavo di notte».
Ne approfitta anche per lavorare?
«Spesso. Preparo le diapositive che mi servono durante i convegni e studio, metto a punto i discorsi».
Le è mai capitato di rispondere all'allarme «C'è un medico a bordo»?
«Un paio di volte. Ma in un caso eravamo a bordo in dieci medici. La seconda volta invece ho assistito una signora che sembrava aver anticipato le doglie. Il comandante mi ha anche detto di avvisarlo se avessi deciso di atterrare».
Come in un film?
«Diciamo che fa un certo effetto sentire su di sé la responsabilità di far atterrare un intero volo. Fortunatamente quella volta non ce n'è stato bisogno».
La sua famiglia cosa dice dei suoi continui viaggi?
«Mia moglie al momento è negli Stati Uniti. E i miei figli, di 13 e di 16 anni, cominciano già a viaggiare».
Insomma, avete le miglia nel dna?
«Un po' si. Mia figlia ha frequentato corsi di francese e inglese all'estero. E il prossimo viaggio, grazie alle Millemiglia, lo faremo tutti assieme».
Meta?
«O Africa o Perù, decideremo tra un po'».
Ai suoi figli sta insegnando a essere esterofili?
«Sì, ma non per manie di esterofilia a tutti i costi. Semplicemente credo che, per qualsiasi tipo di mestiere e non solo per i medici, sia fondamentale viaggiare e mettere il naso fuori di casa. Magari ci si accorge che all'estero le cose vanno meglio, magari che vanno peggio e che si lavora meglio in Italia. Ma è bene conoscere e mettersi alla prova, confrontandosi con chi ha abitudini diverse dalle nostre. Ai miei figli vorrei insegnare questo».
Ha girato tutto il mondo, ma viaggia a marchio italiano. Come mai?
«Guardi, lo spiegavo poco tempo fa a un amico
tedesco. Ho provato a viaggiare Lufthansa ma sono tornato, molto volentieri, ad Alitalia. Molto meglio, più servizi e più cortesia. Eppure sembra quasi che non si possa dire ad alta voce che Alitalia funziona benissimo».
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