Non si sa più niente di lui dal 1988, in effetti. Ma è questo un buon motivo per ritenere che sia morto? Di motivi per sparire volontariamente dalla circolazione, il milanese Maurizio Baldasseroni ne aveva uno piuttosto robusto: la condanna all' ergastolo per uno degli episodi più pazzeschi degli anni di piombo, il massacro compiuto in un bar di via Adige nel dicembre 1978. Baldasseroni e il suo amico Oscar Tagliaferri, entrambi militanti di Prima Linea, erano in un bar a bere. Litigarono con un gruppo di altri avventori, e la politica c'entrava poco e niente. Ma i due rivoluzionari ubriachi tornarono nel covo, presero i fucili a pompa dell'organizzazione, e poi di nuovo al bar, dove trovarono alcuni dei disgraziati con cui avevano litigato poco prima. Aprirono il fuoco ad altezza d'uomo, su una Ford Escort e ammazzarono tre padri di famiglia: Domenico Bornazzini, Pierantonio Magri e Carlo Lombardi. Poi sparirono nel nulla.
Sono passati trentasei anni, e oggi il tribunale di Milano dovrà tornare a occuparsene. Questa mattina il giudice Mazzei, della sezione Volontaria giurisdizione, dovrà valutare la richiesta di morte presunta presentata dagli eredi di Baldasseroni, ma risolutamente avversata dai familiari delle sue vittime. Se venisse accolta, il nome dell'ex terrorista verrebbe cancellato dagli elenchi dell'anagrafe ma soprattutto dai registri dei latitanti, e per lo Stato risulterebbe ufficialmente morto. Ma se invece Baldasseroni è vivo, come ritengono gli avvocati delle vittime, la dichiarazione di morte presunta gli permetterebbe d'ora in avanti di vivere tranquillo. Ancora più tranquillo di quanto abbia vissuto in questi anni in cui, nonostante la condanna definitiva, non risulta che nè lo Stato italiano nè l'Interpol si siano mai troppo daffare per cercarlo e estradarlo.
I due erano spariti subito dopo il massacro di via Adige, dopo avere cercato invano la copertura dell'organizzazione terroristica di cui erano esponenti di spicco. I vertici di Prima Linea fecero sapere ai due che era meglio per tutti se cambiavano aria rapidamente. Nel caos dell'epoca della ferocia di via Adige ci si dimenticò in fretta. Il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro erano avvenuti nel maggio dello stesso anno, e la cronaca portava ogni giorno nuovi lutti e altri orrori.
Le tracce di Baldasseroni e Tagliaferri riemersero dal nulla dieci anni più tardi, e in circostanze decisamente singolari: il pomeriggio del 17 dicembre 1988 le agenzie di stampa sudamericane batterono la notizia del loro arresto in Perù, in compagnia di un terzo italiano in fuga, benchè di tutt'altro orientamento: Giovanni Ventura, libraio padovano, neofascista di Ordine Nuovo, ricercato per la strage di piazza Fontana. Cosa facevano insieme i due rossi milanesi dal grilletto facile e il libraio nero con la passione del tritolo? Due giorni dopo la polizia peruviana spiegò di essersi sbagliata, confermò che Baldasseroni e Tagliaferri risultavano entrati nel paese ma negò di averli mai arrestati. E la pista si perse lì.
Ora il nipote di Baldasseroni chiede che il fuggiasco sia dichiarato morto. Ma ad opporsi stamane saranno due familiari delle sue vittime: la figlia di Bornazzini, Debora, e Ivan Magri, figlio di Antonio Magri. Che non pensano affatto che Baldasseroni sia morto. Tutto stava a cercarlo bene.
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