Cronaca locale

Movida o moschea? La casa vale il 10% in meno

Disordine, rumore e strade trasformate in casbah. La città multietnica e «sregolata» non produce solo conflitti culturali e problemi di integrazione. Il rischio è che a rimetterci siano anche le tasche dei cittadini, gli «indigeni milanesi» che da decenni vivono in case e strade che non si riconoscono più. E che perdono continuamente valore. Soprattutto nelle «banlieue» e nei quartieri popolari.
Le spinte migratorie, e le invasioni progressive di intere vie o quartieri hanno avuto effetti opposti sul mercato immobiliare. Lo spiega il presidente della Fiaip, la Federazione italiana degli agenti immobiliari professionali, Marco Grumetti: «Nei primi anni gli immigrati, soprattutto cinesi, compravano al prezzo pattuito, senza fiatare, anche case vecchie ed esteticamente superate». I prezzi sono anche saliti. Tutto bene finché il credito era aperto. Ora gli italiani scappano da certe zone, ma gli immigrati non hanno liquidità. E il meccanismo si è invertito. Anche per le dinamiche di finanziamento delle compravendite immobiliari: «Con i risparmi - dice Grumetti - si coprono appena le spese notarili e d’agenzia. Tutto il resto dovrebbe essere coperto da mutuo». Dovrebbe, perché «c’è una restrizione del credito, e i mutui arrivano all’80 per cento. Poi le perizie bancarie sono sempre molto prudenziali, il 10-20 per cento in meno». Che succede? «Che nella migliore delle ipotesi si deve svendere - spiega Grumetti - si abbassa il prezzo del 10 per cento o più. Altrimenti non si riesce proprio a vendere, per quanto si possa scendere col prezzo. I cartelli vendesi si moltiplicano, però ingialliscono alla pioggia e al sole». Niente da fare: «Stagnazione».
Gli esempi non mancano. Sono i classici: «Si è assistito alla proliferazione di cartelli vendesi in viale Jenner per il fenomeno dei musulmani, ma lo stesso era accaduto in via Sarpi o nella prima parte di via Padova. Il primo segnale è quella giungla di parabole orientate verso i canali satellitari dei Paesi d’origine». «L’ideale - osserva ancora il presidente degli agenti immobiliari - sarebbe distribuire i flussi su tutto il territorio, ma invece tendono ad agglomerarsi, e questo è un disastro». Tecnicamente: «Gli immobili teoricamente valgono ancora 100 ma nessuno li acquista più neanche a 80, è anche difficile quantificare il deprezzamento». Senza contare fenomeni malavitosi veri e propri, o insediamenti abusivi, o campi rom. «Allora è l’apocalisse - osserva Grumetti - comunque non si tratta di discriminazione. Spesso di abitudini, rumori, odori, orari diversi che producono una reazione. Basti pensare alla questione dei centri di preghiera».
Conferma queste dinamiche Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia: «Fenomeni del genere comportano un calo di valore degli immobili del 10-15 per cento, per famiglie che hanno comprato a prezzo intero». Vittime di condizioni ambientali: «Rumori, prostituzione, mercati, movida, graffiti, chioschi e manifestazioni di ogni tipo. Fattori che sfuggono al controllo. La quiete, il riposo notturno, una vita ordinata nelle città è un valore. Invece la gente è costretta a scappare». Soprattutto quando i fattori esterni si combinano con quelli interni: «Una tipologia preordinata al degrado è il condominio in zona popolare. Un soggetto poco reattivo. Incapace di deliberare migliorie, innovazioni.

Se è mal frequentato e ingessato l’unico esito è un “destino americano”: il degrado fino all’abbattimento dello stabile».

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