Nan Goldin

In Triennale gli scatti dell'artista americana che ha influenzato arti visive, cinema e moda

Mimmo Di Marzio

Cronaca senza fine di vite spericolate. Un universo iperrealista dove il dolore, il sesso, gli eccessi e la dissoluzione diventano il ritratto impietoso di una generazione: quella degli anni Ottanta. Ma potrebbe anche rappresentare quella, contemporanea, che ha edulcorato le droghe giovanili in un bagno di realtà virtuale sostituendo le ritualità di gruppo con una più cupa solitudine. È il meltin' pot iconografico che costella la «Ballata» di Nan Goldin, fotografa statunitense che dal '79 ha ritratto con cruda meticolosità il diario intimo della sua famiglia allargata, una comunità popolata di amici e di storie che paiono uscite da un romanzo di Charles Bukowsky: letti sfatti, volti segnati da notti bianche di sesso e droghe, corpi avvinghiati in fuga dalla solitudine, drag queen e gay in posa nei bagni di bordelli maschili, un gruppo di punk che smaltisce gli esiti di una sbornia. Oggi quelle storie, che incisero profondamente nella sua vita, scorrono in «The Ballad of Sexual Dependency», una videoinstallazione inaugurata ieri alla Triennale alla presenza dell'artista americana: oltre 700 immagini montate in sequenza filmica accompagnate da una colonna sonora che ne accentua il tono documentaristico. «Ho conosciuto Nan Goldin a Napoli nei primi anni Novanta» racconta il torinese Guido Costa, suo gallerista di riferimento in Italia e autore della più importante monografia sull'opera dell'artista. «Erano anni in cui la galleria partenopea Theoretical Events si proponeva di lanciare in Italia artisti inediti del panorama internazionale che lavoravano con la fotografia. Nan Goldin era già conosciuta dagli addetti ai lavori, ma fu interessante produrre una mostra di suoi scatti interamente girati in interni napoletani come dialogo ideale con il suo work in progress newyorkese. Quella Ballad fu poi presentata al Plastic di Milano, discoteca di tendenza negli anni Novanta».

La mostra della Triennale rappresenta un documento importante nella storia della fotografia contemporanea e quelle crude immagini di repertorio (l'artista ha dichiarato di aver interrotto il progetto da alcuni anni) hanno conservato tutto il pathos della cronaca, malgrado possano apparire datate. «La realtà - sottolinea Costa - è che la sua opera, malgrado negli anni Ottanta sia stata definita scioccante e ingiustamente anti-artistica, ha in realtà influenzato profondamente l'iconografia contemporanea: dall'arte figurativa alla fotografia di moda, fino alla cinematografia».

I colori saturi e quasi in «cibachrome» dei suoi scatti, il realismo e il taglio documentaristico furono un pugno nello stomaco in un'epoca in cui la fotografia d'autore era contraddistinta dal bianco e nero, dalla tecnica di posa e dal banco ottico. Ma quella Ballata, ancora oggi, non ha smesso di affascinare. E di commuovere.

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