Napoletana o gourmet. Ora alla vera pizza ci penserà l'Unesco

A Milano 50 locali candidano il pizzaiolo a patrimonio dell'umanità. E in città è gara

Napoletana o gourmet. Ora alla vera pizza ci penserà l'Unesco

Milano capitale anche della pizza? Non esageriamo, anche se da un paio d'anni a questa parte (complice Expo e i festival legati al food), il livello delle pizzerie si è elevato come non mai, grazie anche allo sbarco di nomi celeberrimi. Uno su tutti Gino Sorbillo, che dopo Lievito Madre al Duomo, ha fatto il tris con «Olio a crudo» (via Montevideo) e «Zia Esterina» in via Agnello dedicata alla tradizionale pizza fritta. Ma la corsa alla vera pizza doc partenopea si è fatta talmente accesa che non poteva mancare di essere al centro anche di questa «food week». L'occasione è la presentazione di un «ponte» tra Milano e il «Napoli Pizza Village», manifestazione che si tiene a fine a giugno sul lungomare della città partenopea e che nelle ultime edizioni ha attirato 600mila presenze. Per la settimana della Milano Food City, 50 pizzerie sotto la Madonnina hanno deciso di aderire al festival che quest'anno propone la candidatura dell'arte del pizzaiolo napoletano come patrimonio dell'Unesco. L'iniziativa prevede la possibilità di sostenere la suddetta candidatura (#pizzaunesco) in una delle pizzerie che vi aderiscono, ricevendo in cambio un coupon per partecipare alla settima edizione di Napoli Pizza Village. Per questo progetto la Fondazione Univerde con l'Associazione Pizzaiuoli Napoletani e Coldiretti hanno portato a raccogliere più di un milione e mezzo di firme. L'elenco delle pizzerie di Milano aderenti al progetto verrà presentato oggi e sarà visibile sul sito www.napolipizzavillage.it.

Il progetto, si diceva, è la spia di un trend che ha visto l'apertura sotto la Madonnina di pizzerie dal nome blasonato e non, che sulla scia di rinomate catene hanno voluto definitivamente sdoganare il concept della pizza classica partenopea. Quella, per intenderci, con il «cornicione» alto, il fiordilatte campano eccetera eccetera. Non tutto oro però è quello che luccica, nel senso che l'immagine folcloristica non corrisponde necessariamente alla qualità nè alla digeribilità. Fattore, quest'ultimo, determinante e legato alla lavorazione della pasta, alla qualità degli ingredienti e soprattutto alla lievitazione. Su questo tema hanno molto insistito ottime realtà di ultima generazione, come i due piccoli locali AM e Piz del calabrese Pasquale Pometto (via Torino e corso di Porta Romana), oppure il Marghe di Matteo Mevio in via Cadore, oltre al già citato Lievito Madre. Non mancano locali glamour che hanno puntato sulla vera pizza a lunga lievitazione come il Dry di via Solferino e il ristorante Da Regina in via Pellico. Oppure chi, come la Taverna Gourmet, ha voluto elevare la pizza a ficetta di alta cucina.

Ma, sperimentazione a parte, meritano un doveroso cenno anche quei locali «storici» che da sempre lavorano sulla tradizione e sull'attenzione alla qualità del prodotto, come i ristoranti Rita e Antonio di via Bellini, e il Peperino di piazza XXV Aprile.

giandomenico.dimarzio@ilgiornale.it

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