Niente divise né turni, Uber «spiazza» le consegne a domicilio

Per diventare fattorini di «Uber Eats» basta avere almeno 18 anni, una carta d'identità valida, i documenti del mezzo (se si usa uno scooter, ma per chi ama pedalare basta la bicicletta) ed essere in grado di sollevare 15 chili di peso. Il colosso che con le auto nere con conducente ha già scatenato le ire dei tassisti in mezzo mondo, da qualche giorno ha lanciato a Milano anche la consegna del cibo a domicilio tramite app. Ci sono già molti servizi di food delivery diffusi da anni (da JustEat a Foodora o Deliveroo) ma la novità ( e forse un prossimo motivo di protesta da parte dei concorrenti) sta proprio nel reclutamento dei corrieri. Intanto non devono nemmeno avere una pettorina che li renda riconoscibili. Poi chi si iscrive al sito e risponde sì ai tre requisiti viene contattato per un colloquio (Uber controlla che i candidati abbiano la fedina penale pulita e tutti i documenti richiesti in regola), fornisce una borsa termica per mantenere i cibi al caldo o al freddo, e poi non pone vincoli di orario e disponibilità. Sta al singolo decidere quando mettersi a disposizione sulla app per ricevere gli ordini dei ristoratori che aderiscono al servizio e (di fatto) pagano per la consegne. Uber fa da tramite, versa settimanalmente il bonifico secondo il lavoro svolto e trattiene una percentuale.

Nessun turno fisso, nessuna pettorina, il fattorino può essere uno studente che vuole guadagnare durante la pausa dei corsi o un lavoratore che vuole arrotondare. La definiscono la «gig economy», l'economia dei lavoretti.

ChiCa

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