Coronavirus

"Niente mascherine: spaventano i pazienti"

Il racconto: "Non ci hanno protetto, minimizzando quel che stava accadendo"

"Niente mascherine: spaventano i pazienti"

«Con il mio cliente e altri suoi colleghi stiamo solo valutando come formulare l'esposto, ma andremo avanti, su questo non c'è dubbio. Ci sono aspetti di questa vicenda che fanno rabbrividire».

L'avvocato Luca Aliprandi del foro di Busto Arsizio assiste quel gruppo di operatori sanitari dell'«Istituto Palazzolo - Fondazione Don Carlo Gnocchi» quasi tutti positivi al coronavirus che hanno già sporto querela contro la residenza sanitaria assistenziale (Rsa), dando inizio all'inchiesta della Procura di Milano. Parliamo di una dozzina di altri infermieri che ancora non hanno fatto azioni legale, ma solo nel timore di perdere un impiego con contratto part time da 35 ore settimanali e a mille euro al mese per assistere anziani affetti da alzheimer e demenza senile. Davide (il nome è di fantasia), residente in provincia di Milano e dipendente di una delle due cooperative che operano all'interno dell'istituto, è stato il primo a rivolgersi all'avvocato Aliprandi e ha accettato di parlare con noi.

«Mai, non siamo mai stati tutelati con dispositivi di protezione individuali - racconta -. Noi chiedevamo mascherine, guanti e una tuta: l'ultimo giorno che ho lavorato, una settimana fa, il direttore sanitario mi ha fatto indossare un camice monouso, mascherina chirurgica e un grembiule da cucina usa e getta, tutti completamente inutili per il nostro tipo di lavoro. Ricordo le riunioni che ci facevamo quelli della cooperativa alla fine di febbraio, minimizzando, dicendo di non preoccuparci e di stare tranquilli, che non c'era il coronavirus al Don Gnocchi. E pregandoci di non usare le mascherine perché altrimenti avremmo spaventato i pazienti...È stato tenuto tutto sotto silenzio. E non c'è stato il divieto d'ingresso per i parenti».

Davide racconta chela situazione è precipitata quando il collega di un altro reparto è stato allontanato perché risultato positivo. «Ma lo hanno scoperto solo dopo la morte di un anziano assistito da quell'operatore sanitariio: hanno fatto il tampone sul cadavere e, visto che era positivo il collega, che manifestava sintomi compatibili con il coronavirus, è stato allontanato dall'istituto. Adesso di colleghi positivi ce ne sono tanti prìurtroppo».

E conclude: «Adesso sono a casa, potrei essere positivo ma non lo so, non ci hanno mai fatto i tamponi. Mangio da solo e vivo nella mia stanza.

Ho ancora gli incubi: ho visto anziani morire di coronavirus lentamente, agonizzanti; altri di colpo, dopo violentissimi attacchi epilettici, con il corpo bruciante di febbre, vomito e dissenteria».

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