«Noi Province senza soldi siamo vive, ma non vegete»

Il presidente dell'Unione degli enti locali lombardi si chiede cosa cambierà dopo il «no» al referendum

Lucia Galli

Abolite, depotenziate, ridefinite e ora risorte: le Province italiane sono vive, ma (da tempo) non vegete. Nonostante un taglio di quasi 17 milioni nell'ultimo anno, hanno superato anche lo scoglio dell'ultimo referendum che si è rivelato una «cartina di tornasole sulla salute di questi enti di secondo livello ai quali è fondamentale assegnare le risorse necessarie». Ne è convinto Pier Luigi Mottinelli, presidente della Provincia di Brescia e, da ottobre 2015, anche di Upl, Unione delle Provincie lombarde. Dal Broletto a Palazzo Chigi, partito il pressing per chiarire che ne sarà della Legge Delrio che ha riformato le competenze delle Province, dimezzandone, le risorse.

Che cosa la preoccupa dopo il referendum?

«Eravamo convinti che una vittoria del sì, avrebbe valorizzato il peso delle Province, ora vogliamo capire quale sarà il new deal del Ddl Delrio dopo la bocciatura del referendum che le conferma nella Costituzione».

Temete di perdere autorevolezza?

«Senza un decreto che sancisca con chiarezza le risorse, sì. A oggi non siamo in grado di approvare i bilanci. Abbiamo chiesto un incontro al governo e al presidente Mattarella entro Natale, in modo da ripartire a gennaio con sicurezza. In Lombardia stiamo meglio che altrove, perché il rapporto con l'Anci è da sempre molto proficuo, ma non basta».

Come vanno ripensate le Province?

«Vedo tramontato l'iter che avrebbe portato, qualora al referendum avesse vinto il sì, all'istituzione delle cosiddette aree vaste che inglobavano la vecchia idea di Provincia. Oggi i confini tornano a essere solo quelli provinciali. Poi, che si vada a un'elezione diretta o meno, le Province devono restare la casa dei sindaci: questo è il claim che lanciammo, proprio da Brescia, anni fa, quando si cominciò a ripensare il ruolo di questi enti».

Che cosa rischiano, dopo il no del referendum?

«Le Provincie sono più vive che mai: il rischio maggiore è quello di non disporre di risorse adeguate a gestire le funzioni di nostra competenza».

Eppure la sicurezza delle strade e la viabilità, per esempio dopo la tragedia del ponte in provincia di Lecco, sono una priorità e spesso un'emergenza...

«Pensando al caso di Lecco e alla sicurezza dei ponti, occorre garantire la sicurezza e nel contempo non bloccare la circolazione. In una parola, controlli veloci e rapidi».

Il che si traduce in un'unica parola.

«Un portafoglio chiaro: in Lombardia Bergamo, Brescia, Pavia e Mantova hanno maggiori necessità di mettere mano alla viabilità provinciale con risorse adeguate».

Che cosa pensa dell'idea di trasferire alla Regione strade di grande percorrenza?

«È un tema che riguarda solo alcune zone della Lombardia, come il Nord Milano dove in poche decine di chilometri si alternano i confini di diverse Province. Se fosse utile, per un'omogenea gestione della strada, potrei anche essere d'accordo».

Una proposta da mettere subito sul tavolo?

«Non devolvere più al governo il 70% degli introiti di Rc auto e iscrizione al registro automobilistico. È un'idea del collega di Bergamo ma la facciamo nostra».

Quanto agli edifici scolastici, chi sta peggio?

«Direi che tutte le Province hanno problemi simili, non ci sono criticità più acute in una zona rispetto a un'altra».

Dividiamo la Lombardia fra montagne, città e pianura: quali le priorità?

«In montagna l'attenzione

va posta sulla filiera bosco - legno e il recupero dell'acqua come risorsa idropotabile e idroelettrica. Nelle aree urbane occhi puntati sulle relazioni fra le città e nella Bassa occorre monitorare il consumo del suolo».

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