Non bastava il lockdown con le lunghe chiusure dei locali, i debiti contratti per pagare le spese e le casse integrazioni dei dipendenti. Per gli esercenti che hanno i negozi in affitto con il Comune di Milano arriva anche la pugnalata dello sfratto. Sembra incredibile in un momento in cui l'aiuto di Palazzo Marino è stato invocato a più riprese da parte dei commercianti, ristoratori in primis, strangolati dagli affitti e dalle tasse in un'annata di mancati introiti. E invece, la scoperta arriva come una doccia fredda per coloro che proprio con il Comune hanno un contratto d'affitto e che, in vista della prossima scadenza, si apprestavano al rinnovo. La storia di Salvatore Serra, titolare dell'«Osteria al 29» di corso Magenta, a due passi dal Cenacolo, è la stessa di altre botteghe del centro e rischia di affossare definitivamente piccole imprese già pericolosamente in bilico. Ma anche in questo caso - non sarebbe la prima volta - il siluro arriva silenzioso e inaspettato. «Ho appreso la notizia per puro caso da un mio collega titolare di una storica sartoria di via Terraggio - dice Serra - e mi sono precipitato a verificare presso l'agenzia di Mm che si occupa della contabilità degli immobili. Era tutto vero: alla scadenza del contratto, che in caso di mancata disdetta veniva automaticamente rinnovato, i locali verranno messi all'asta. Per me, come per tanti altri schiacciati dalla crisi e dalla pandemia, sarebbe la rovina». L'«Osteria al 29», ristorante-pizzeria assai gettonato nelle pause pranzo in era pre-Covid, ha un contratto d'affitto che risale all'anno 2000 e che nel 2018 è stato rinnovato per altri sei anni, ovvero fino al 2024. «Con le amministrazioni precedenti è sempre tutto filato liscio e, tutt'al più, alle scadenze veniva fissato un aumento del canone. Ma un'asta, che vedrebbe le botteghe del centro entrare in competizione con i grandi fondi immobiliari o le multinazionali straniere, equivale a chiusura assicurata, la beffa dopo il danno della pandemia». Nel caso di Serra, si tratterebbe di una beffa doppia, dal momento che nel 2018 il ristoratore si sobbarcò degli oneri di ristrutturazione di tutti gli impianti del negozio: «Erano lavori di adeguamento necessari e, prima di espormi, chiesi al Comune garanzie per il successivo rinnovo; avendo da 20 anni sempre rispettato i canoni, fui come sempre rassicurato. Avevo calcolato di ammortizzare le spese nei prossimi anni ma poi è arrivata la pandemia e per locali come il mio, che vivevano soprattutto di pause pranzo con gli uffici e che non hanno la possibilità di tavoli all'aperto, il lockdown è stato totale. I ristori? Sono già evaporati in spese, tasse e canoni d'affitto per i quali non abbiamo avuto sconti per il lockdown ma soltanto una proroga che scade a fine anno e che io ho puntualmente saldato».
La prospettiva di lasciare i locali da qui a tre anni sarebbe però il colpo di grazia. «Le spese che ho sostenuto finora e i mancati introiti dovuti alla pandemia mi hanno causato debiti per 130mila euro e nel 2024, quando sarò costretto a licenziare i miei cinque dipendenti, non avrò neanche i soldi per pagar loro le dovute liquidazioni».
Alle richieste di chiarimenti da parte dell'imprenditore, la contabilità del Comune ha risposto con delle mail laconiche in cui si annunciava che le regole erano cambiate.
«Proprio adesso? Peccato che nessuno da Palazzo Marino si sia degnato di avvisare gli esercenti affittuari con una comunicazione; in un momento come questo avrei bisogno di almeno un altro rinnovo di sei anni per andare in pari. Adesso Solo la Lega sta sostenendo la causa dei commercianti; non ci resta che sperare in un cambio della guardia».
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