Omicidio di Lidia Binda al Riesame: «Non l'ho uccisa»

Molto dimagrito - in carcere ha perso quasi venti chili secondo quanto riferisce il suo legale - occhiali, giacca di jeans. Stefano Binda si è presentato ieri mattina davanti al tribunale del Riesame. I legali dell'uomo, accusato dell'omicidio di Lidia Macchi 29 anni fa a Cittiglio (vicino a Varese), hanno fatto ricorso contro la proroga della custodia cautelare. A fine aprile la Cassazione aveva confermato il carcere.

In aula oltre ai difensori Sergio Martelli e Roberto Pasella c'era il sostituto pg di Milano Carmen Manfredda che ha riaperto le indagini sul delitto. Binda, in prigione dal 15 gennaio, finora si era avvalso della facoltà di non rispondere, anche se attraverso i difensori aveva affermato la propria innocenza. All'udienza di ieri le brevi dichiarazioni spontanee: «Non c'entro con l'omicidio, non ho ucciso io Lidia. Non ho inquinato le prove né potrei farlo». Per i suoi difensori, l'indagato dovrebbe poter affrontare il processo «da uomo libero. Gli inquirenti possono fare il loro lavoro anche senza tenerlo in cella».

La famiglia Macchi, con il legale Daniele Pizzi, ha ribadito: «Se davvero Binda è innocente, allora dica tutto ciò che sa». Il Riesame si è riservato di decidere sul cessato pericolo di inquinamento delle prove. Il 48enne di Brebbia resterebbe comunque in carcere per quelli di fuga e di reiterazione del reato.

CBas

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