Non è stato un semplice fiancheggiatore, ma complice di omicidio. È su questa ipotesi che si riaprirà il processo a Milos Stizanin, il nomade serbo che il 12 gennaio 2012 in via Varè era a bordo del suv che uccise il vigile urbano Niccolò Savarino. Insieme a Remi Nikolic, già condannato per omicidio. Ieri la Prima sezione della corte d'Appello, dopo un rinvio degli atti dalla Cassazione, ha accolto la richiesta del sostituto pg Sandro Celletti e delle parti civili di indagare Stizanin per concorso in omicidio volontario. Annullata quindi la sentenza che lo condannò in primo grado (confermata nel primo processo d'Appello nel 2014) a due anni e mezzo di carcere per favoreggiamento.
In sostanza l'accusa originaria a Stizanin viene cancellata e ne viene indicata una nuova alla Procura, che aprirà un nuovo fascicolo. Da qui partirà un nuovo processo di primo grado. Il giovane all'epoca dei fatti aveva 19 anni, mentre Nikolic era minorenne e venne processato dal Tribunale dei minori e condannato in via definitiva a nove anni e otto mesi. Era lui alla guida dell'auto che travolse Savarino, l'amico era sul sedile a fianco. Nel luglio scorso Nikolic ha ottenuto l'affidamento ai servizi sociali, dopo aver scontato cinque anni e mezzo al Beccaria. Secondo le ricostruzioni, fu Stizanin a disincagliare la bicicletta dell'agente che era rimasta incastrata sotto il suv e aiutò il complice a parcheggiare l'auto tra le altre in sosta per nasconderla. Nel primo processo d'Appello a suo carico tra l'altro i giudici avevano revocato i risarcimenti ai familiari della vittima, rappresentati dall'avvocato Gabriele Caputo. La Cassazione poi, nel novembre del 2016, ha disposto il processo d'Appello «bis», celebrato ieri. Qui i giudici hanno valutato la richiesta, già formulata nel primo Appello, di trasmettere gli atti alla Procura e di indagare il serbo per il reato più grave. Con il via libera della Corte prevale quindi la linea portata avanti dalla famiglia di Savarino e dal Comune, anch'esso parte civile rappresentato dall'avvocato Maria Rosa Sala.
La Suprema corte nella sentenza aveva spiegato che i giudici d'Appello nel 2014 avevano «erroneamente» affermato «l'inammissibilità della richiesta formulata» dall'accusa in secondo grado «di rilevare il difetto di corrispondenza tra i fatti emersi nel corso del giudizio e quelli oggetto di contestazione».
E lo avevano fatto sull'inesatto «presupposto dell'assenza di qualunque potere» della corte d'Appello a riqualificare il reato, in mancanza del ricorso del pm. A suo tempo infatti la Procura non aveva appellato la condanna per favoreggiamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.