Ora il magistrato rivela: «La giustizia in crisi? Scarso impegno dei pm»

L'ex aggiunto Nicola Cerrato lascia l'ufficio con un'accusa ai vertici della Procura: «Poco democratici e rispettosi delle regole»

Luca FazzoLa crisi della giustizia? «Frutto dello scarso impegno di molti e del non corretto adempimento da parte dei dirigenti (scelti come?) dei poteri-doveri di direzione, organizzazione e vigilanza». In tempi di lamentele diffuse sulle carenze di organico, sulle colpe della politica, sui cavilli degli avvocati, insomma su tutto quello che possa spiegare il dissesto dei tribunali senza chiamare in causa le responsabilità dei magistrati, una lettera d'addio solleva senza giri di parole proprio il tema dei demeriti delle toghe. É la missiva indirizzata a tutti i componenti della Procura della Repubblica da Nicola Cerrato, fino a pochi mesi fa procuratore aggiunto. Anche Cerrato è andato in pensione con la fine del 2015, alla pari di diversi suoi colleghi. C'è chi se n'è andato in silenzio, chi ha organizzato un brindisi con i colleghi. Cerrato lascia la Procura togliendosi qualche sassolino: rivendica il lavoro svolto azzerando gli arretrati del dipartimento che gli era stato affidato, specializzato nei reati ambientali, di lavoro e di malasanità. Punta il dito contro la pigrizia di molti colleghi. E augura alla Procura che lascia un capo ben diverso da Edmondo Bruti Liberati, andato in pensione anche lui, e col quale Cerrato ha sempre avuto rapporti tesi: e anche al momento del commiato non annacqua i suoi dissapori.Cerrato ricorda di essere entrato in magistratura nell'aprile 1967, insieme al giudice Fernando Ciampi, ucciso nel suo ufficio a Palazzo di giustizia nell'aprile dello scorso anno, e di aver trascorso tutta la sua carriera nel capoluogo lombardo, con l'unica pausa dei cinque anni di lavoro al ministero accanto al Guardasigilli leghista Roberto Castelli: «un peccato - ricorda ieri al Giornale - che molti colleghi non mi hanno mai perdonato». Da giudice e da pubblico ministero, ha vissuto a Milano gli anni della strategia della tensione e del terrorismo, «gli anni da bere del craxismo imperante e l'epopea di Mani Pulite», fino all'epoca dei processi a Formigoni e Andreotti; rivendica di avere condotto inchieste pilota su temi delicati, come quelle sull'inquinamento a Milano, conclusa con il proscioglimento dei politici indagati sulla base di una consulenza tecnica che per la prima volta analizzava in modo completo gli aspetti scientifici e giuridici dell'avvelenamento da smog. E conclude prendendo di petto il problema delle inefficienze della giustizia, andando controcorrente rispetto alle tesi dell'Anm, l'associazione dei magistrati. Basterebbe lavorare di più, dice in sostanza Cerrato. Il mio lavoro «mi ha consentito di non essere mai stato in debito con la giustizia», nonostante le carenze di personale. Parla dello «scarso impegno» di tanti colleghi e chiama in causa le colpe dei capi. «Concludo - scrive - auspicando che la futura guida della Procura ridia all'Ufficio lo smalto di un tempo, temporaneamente sottratto dalla Procura di Roma». E «auspico da parte del nuovo procuratore una gestione più democratica, coinvolgente e rispettosa delle regole che governano l'ufficio». Il bersaglio è evidentemente Bruti Liberati, sulla cui gestione verticistica della Procura (peraltro ammessa e rivendicata dallo stesso Bruti) si è consumato lo scorso anno uno scontro senza precedenti all'interno dell'ufficio. Quello scontro ormai si è chiuso con il pensionamento di Bruti e il trasferimento a Torino del suo oppositore, Alfredo Robledo. Sulla nomina del successore di Bruti si esprimerà il mese prossimo il Csm.

E nella sua lettera d'addio Cerrato esprime l'auspicio che a venire scelto sia un candidato interno alla Procura di Milano: ovvero uno dei tre pm che hanno avanzato la loro candidatura, Francesco Greco, Ilda Boccassini e Alberto Nobili.

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