Quando il ministro piomba addosso alla coppia di militari dalle «retrovie» di piazzale Loreto, li prende alla sprovvista: «Dove li avete lasciati i poliziotti?». «Ci siamo appena separati» la risposta intimidita. «Dovete stare il più possibile insieme», avverte La Russa, accompagnato dal vicesindaco, che si raccomanda: «Andate al di là del ponte».
I primi uomini escono intorno alle 6.30 dalla caserma di via Perrucchetti. Sono 150. Hanno la divisa a maniche corte color cachi, il basco nero e la pistola semiautomatica calibro 9 nella fondina. «La camicia va bene, ma il tessuto è troppo pesante. Non avete caldo?» sinteressa unanziana mentre esamina il cotone saggiandolo fra pollice e indice. Via Padova è una delle tre zone calde pattugliate da subito con carabinieri e polizia: quattro turni da sei ore. I presidi fissi sono dodici: fra questi i consolati di Usa, Gran Bretagna, Cina, Russia ed Egitto, la Sinagoga e le linee aeree israeliane. Qui i militari indossano la mimetica e portano anche il mitragliatore. In Duomo sono in sei, cè anche una donna.
Il corteo di auto che accompagna La Russa e De Corato, intanto, si è appena fermato alla rotonda di via Predabissi. Li accoglie una Milano liberata. Dalla paura. Strette di mano, saluti dalle finestre, baci: «Finalmente». «Con loro, parlate con loro», dice il ministro ai giornalisti, indicando i militari e la gente. «Se un sindacato di polizia sostiene che non siamo adeguati per loperazione - sostiene un soldato fra i più giovani - è perché non ci hanno mai visto in mezzo alla gente, ma noi veniamo dal Libano, sei mesi per aprire il teatro operativo, siamo tornati lanno scorso». Un portavoce dello Stato maggiore lo stoppa: «È che tu sei troppo giovane per ricordare i Vespri siciliani». Dai «vespri milanesi» il ministro si aspetta un effetto simile: «Pochissimi interventi, ma poi i reati calarono del 50 per cento. Ci attendiamo soprattutto deterrenza. E se andrà bene durerà più di sei mesi. Quel che temo è un incidente, non casuale, ma una provocazione, qualcosa di preparato da certi ambienti, centri sociali o cose del genere».
Il ministro entra in un bar ma non riesce a offrire il caffè: «Tutti già pagati dal tavolo fuori». «Qui cè la città vera - dice De Corato - non alla Centrale. Però... cinesi, romeni, arabi, non si trova più un italiano». Si gira, e un ragazzo di colore gli tende le mani. Un altro, peruviano, abbraccia il ministro: «La gente è entusiasta - commenta lui - è stato faticoso ma ne valeva la pena. Dove cè controllo non cè xenofobia». De Corato gli legge i lanci delle agenzie ricevuti sul cellulare, La Russa telefona al collega degli Interni, Maroni: «Sono Ignazio, qui sta andando benissimo, la gente ci applaude, ci saluta dalle finestre». «Dovete andare anche alla Bovisasca», suggerisce un papà. «Lo dica a De Corato», gira il consiglio lui. «Dovete mandarli tutti a casa», urla qualcuno.
A due fermate di metropolitana cè la Centrale. Qui nel primo pomeriggio girano in quattro, disposti a scacchiera, poliziotti e militari. Da piazza Duca dAosta a via Filzi. Un «Defender» mimetico dellesercito e una Stilo della polizia sono parcheggiate in bella vista accanto allufficio postale. La pattuglia si ferma sotto gli alberi, ci sono già una camionetta e una Punto dei carabinieri. Molta gente chiede indicazioni. Un uomo sta aspettando il treno della madre: «Cè un tizio con il Suv che sta qui da tre quarti dora col motore acceso», segnala al poliziotto, che subito fa segno: girare le chiavi. Intanto davanti al chiosco delle bibite un ubriaco sta importunando una ragazza di colore. «Che ti ha fatto?» domanda lagente. «Mi piace», borbotta lui. «Ma è occupata, vai, lasciala stare». I militari stanno un po distanti. Lubriaco si avvicina minaccioso, il soldato più robusto arretra un passo. Arrivano altri due agenti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.