«Padiglioni di Expo 2015 costruiti dalla 'ndrangheta»

Secondo la Dda di Reggio Calabria, gli stand di Cina ed Ecuador andati a società gestite dai clan calabresi

Cristina Bassi

Expo e 'ndrangheta: non si tratta più di un'«ombra» o di «presunte infiltrazioni». Si tratta di cosche calabresi che, attraverso società intestate a prestanome ma di fatto gestite direttamente, costruiscono (tra l'altro) i padiglioni dell'Esposizione universale.

Il mito dell'Expo «mafia free», già scricchiolante, crolla sotto i colpi dell'inchiesta «Rent» della Dda di Reggio Calabria. Che si intreccia con quella di pochi giorni fa della Dda milanese chiamata «Underground». La Guardia di finanza ha eseguito ieri in Calabria, Emilia Romagna e Lombardia un decreto di sequestro per 15 milioni di euro in appartamenti, locali, auto di lusso, moto, autocarri, società, polizze assicurative, conti correnti bancari e postali. I beni sono riconducibili ad alcuni imprenditori del Nord che però sarebbero legati alle cosche di 'ndrangheta Aquino-Coluccio e Piromalli-Bellocco. L'operazione della Dda di Reggio Calabria si è concentrata sulle attività economiche di un'organizzazione criminale calabrese, che grazie ai prestanome lombardi si sarebbe aggiudicata diversi appalti e subappalti per realizzare opere importanti. Tra queste, il padiglione della Cina e quello dell'Ecuador a Expo 2015, il mega centro commerciale di Arese, opere di urbanizzazione e infrastrutture di base per l'Esposizione, lavori per Ferrovie Nord e per il consorzio di Bereguardo, nel Pavese. Le persone citate nel decreto di sequestro sono accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, riciclaggio, estorsione, induzione alla prostituzione, detenzione illecita di armi da fuoco. La cosca faceva affari anche fuori dai confini nazionali. Sotto la lente degli inquirenti pure i lavori per la costruzione di un complesso turistico-sportivo ad Arges Pitesti e del resort Molivisu, entrambi in Romania, per un valore di 80 milioni di euro di cui 27 a carico dell'Unione europea. Infine di un immobile in Marocco. Molte delle persone coinvolte in questa operazione sono citate nell'ordinanza di custodia cautelare di «Underground» dello scorso 3 ottobre.

Le cosche individuate, che operano nella Locride e nella Piana di Gioia Tauro, individuavano aziende in difficoltà e si offrivano di «salvarle» con grosse somme di denaro, che però provenivano da traffici illeciti. A quel punto le società erano intestate solo di facciata agli imprenditori puliti, ma in realtà erano controllate dai boss. Che anche utilizzando metodi mafiosi riuscivano ad accaparrarsi gli affari migliori. L'inchiesta della Dda di Milano aveva portato all'arresto tra gli altri di Antonio Stefano, considerato il luogotenente del clan Aquino-Coluccio. E del suo referente in Lombardia, l'imprenditore Bergamasco Pierino Zanga, anche lui finito in carcere.

In passato, spiega il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, «avevo detto che la 'ndrangheta sarebbe arrivata all'Expo 2015. Perché per la 'ndrangheta è un fatto di prestigio essere presente in queste grandi opere. Non è un fatto solo di guadagno».

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