Il Pd tra piazza e Leopolda Compagni milanesi a pezzi

In città c'è una forte contrapposizione fra le due anime del partito E anche se nessuno vuol sentir parlare di scissione lo scontro è duro

Il Pd tra piazza e Leopolda Compagni milanesi a pezzi

Da una parte ci sono il sindacato e le bandiere rosse, quelle della piazza romana di San Giovanni. E gli slogan di chi chiede «diritti e lavoro». Ci sono i ritornelli ideologici della sinistra (perfino «Contessa») e qualche coro inedito, come chi vuol spedire Renzi a «quel paese» (e non parla di Firenze). Il volto simbolo di questa manifestazione potrebbe essere Antonio Pizzinato, l'ex segretario della Cgil oggi presidente onorario dell'Associazione Partigiani della Lombardia, che diretto a Roma per partecipare al corteo con un milione di persone, in treno si è messo a discutere con i lavoratori e i delegati Fiom.

Dall'altra parte - appunto in riva all'Arno - c'è il Pd delle camicie bianche senza cravatta, quello che chiede di «rimboccarsi le maniche» e smetterla con i «piagnistei». Ci sono gli imprenditori e i finanzieri. E ci si organizza in gruppi di lavoro. La star indiscussa? Maria Elena Boschi: il suo tavolo contava cinque cerchi concentrici di sedie.

E i milanesi? Da che parte stanno? Nella piazza storica della sinistra sono stati avvistati Onorio Rosati, ex segretario della Camera del Lavoro e oggi consigliere regionale ma anche Carlo Monguzzi, verde poi Pd, consigliere comunale. Ma c'era anche la dalemiana Barbara Polastrini, e idealmente possono essere annoverati fra i manifestanti anche i civatiani. E con Pippo Civati si sono schierati l'assessore comunale Pierfrancesco Majorino (che ora cerca di non schierarsi troppo, tanto da temere l'accusa di «cerchiobottismo») e il capogruppo Lamberto Bertolè. Scontata l'adesione dei vendoliani Luca Gibillini e Mirko Mazzali e di comunisti, un po' nostalgici, come Basilio Rizzo e Anita Sonego. Due Pd, uno contro l'altro. «Ci manca solo la guerra all'interno del Pd - sbotta Monguzzi - provare a capire no? Il capo del partito ha il dovere di provare a fare questa sintesi». Più che un dovere lo vede come un diritto Pietro Bussolati, segretario milanese e renziano doc. Alla Leopolda con lui c'erano l'assessore comunale Pierfrancesco Maran e il capogruppo metropolitano Filippo Barberis, il consigliere comunale Anna Scavuzzo, l'europarlamentare Patrizia Toia, il segretario regionale Alessandro Alfieri e i deputati Roberto Cociancich e Simona Malpezzi. Tutti milanesi o lombardi. «Il Pd è un partito complesso - dice Bussolati - ma questa è la fine del partito identitario. C'è una maggioranza e una minoranza. In passato tutto era confuso, oggi prendiamo decisioni». Nessuno vuol parlare di scissione. «Non ci sono due Pd» conferma Rosati, che si riconosce «minoranza interna», ma aggiunge: «C'è una dialettica e si discute. È chiaro poi che alcune questioni sono “non negoziabili”, come l'articolo 18 o la legge elettorale. Sul resto si può decidere a maggioranza». Sintesi o decisione a maggioranza, il punto è questo. «A Firenze ho visto un altissimo livello di competenze e approfondimento - racconta Comincini, vicesindaco metropolitano in pectore - il dialogo è fondamentale, poi la maggioranza ha il dovere di fare sintesi». Il braccio destro (pardon, sinistro) del sindaco, Paolo Limonta ha fatto sapere che se avesse potuto sarebbe sceso in piazza con il sindacato. E il sindaco? Giuliano Pisapia è conteso. Bussolati, ironicamente, prevede che - messo alle strette - avrebbe preferito un panino col lampredotto (tipicità fiorentina) piuttosto che la coda alla vaccinara dei romani. «Non è stato tenero con i sindacati» spiega.

Rosati, al contrario, premesso che una figura istituzionale a volte deve anche «chiamarsi fuori», ribatte che «la storia di Pisapia è più legata a San Giovanni» e «se così non fosse sarei deluso. È sempre stato vicino ai lavoratori in piazza».

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