Pelletteria cinese, 13 operai trattati come schiavi

Per sfuggire ai controlli, murati vivi dentro un'intercapedine. Hanno rischiato di soffocare

Tredici persone stipate in un'intercapedine grande 2 metri per 40 centimetri, senza punti luce ma con solo un buco di dieci centimetri da cui far passare l'aria. Il tutto vicino a un forno rovente in cui venivano «cotte» le pelli con cui realizzare per famose griffe del Made in Italy costose cinture, borse, valigette e portafogli.

È la scena raccapricciante davanti alla quale si sono trovati i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro entrando in una pelletteria cinese di via Barcellona 19 a Cologno Monzese nella zona industriale al confine con Sesto San Giovanni. In manette i due titolari cinesi di 46 e 48 anni, in Italia da anni e regolarmente residenti a Cologno. Si tratta di Aiguo Zhang, descritto dagli investigatori come «vera e propria mente organizzativa criminale della società, spietato anche a costo della vita dei suoi operai» e di Zhang Jianlu, «testa di legno» per conto del socio. In tutto nella fabbrica, regolarmente aperta e che in seguito agli arresti è stata sospesa, lavoravano 25 persone, tra cui come operaia anche la moglie di Zhang. I carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro si sono recati sul posto ieri assieme ai colleghi di Sesto e Monza per un controllo all'interno dell'azienda, ubicata in un capannone abusivo. Al loro arrivo i titolari hanno tergiversato per farli entrare, facendoli attendere all'esterno, il tempo necessario per nascondere i tredici operai, tutti cinesi e irregolari in Italia.

Dettaglio curioso, quando i carabinieri sono entrati hanno trovato una decina di lavoratori intenti a realizzare manufatti in pelle, di cui due in nero, e una decina di macchinari in funzione senza nessuno in postazione. I titolari cinesi pensavano di cavarsela con le sanzioni per il lavoro nero, ma i carabinieri hanno deciso di perlustrare il capannone. E, girando tra le stanze, hanno trovato una cucina in totale stato di degrado e un atrio con delle brande e cumuli di sporcizia. In un ufficio era stato installato un monitor collegato a delle telecamere, abusive in quando non dotate di alcun permesso, che trasmettevano in diretta chi entrava e usciva dal magazzino.

I carabinieri si sono accorti che quella stanza aveva una metratura un po' troppo ridotta, e dietro un materasso, vicino al forno dove si cuocevano le pelli ad alta temperatura, hanno trovato un'intercapedine in cartongesso.

Dietro, in 2 metri per 40 centimetri, erano stipate tredici operai, di cui due donne. I carabinieri li hanno libertati: sono usciti uno alla volta in stato di shock, e per poco secondo la narrazione degli investigatori alcuni di loro non avrebbero perso la vita soffocati per la mancanza d'aria.

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