Et voilà . Come fosse un coniglio dal cilindro, un gioco di prestigio nel bel mezzo dell'udienza che lo mette di fronte al suo grande accusatore. Nel processo sul cosiddetto «sistemas Sesto», è il giorno del faccia a faccia tra Filippo Penati - già sindaco dell'ex Stalingrado d'Italia accusato di corruzione e finanziamento illecito dopo la prescrizione della concussione - e l'imprenditore Piero Di Caterina. E la magia di Penati è la matrice di un assegno scovato dalla moglie in qualche vecchio scatolone, dimostrazione che «quando ho acquistato nel 1999 una casa più grande per la mia famiglia, ciò è stato possibile solo grazie alla donazione di 255 milioni di lire da parte di mio padre». Niente tangenti, dunque, o versamenti illecito. Alla faccia di chi ha sostenuto «che avrei avuto nella mia disponibilità miliardi di lire» e ha parlato di «prestiti che mai sono esistiti» ha detto solo «falsità». Denaro di famiglia, e stop.
«È oramai dimostrato - insiste Penati - che non ho conti segreti in Italia o all'estero. I conti correnti miei e di tutti i miei familiari sono stati passati al setaccio e non c'è un solo centesimo la cui provenienza non sia trasparente e riconducibile ai miei redditi». Alla versione dell'ex presidente della Provincia e braccio destro dell'allora segretario Pd Pierluigi Bersani, però, replica in aula Di Caterina. L'uomo che avrebbe foraggiato Penati spiega di aver «fatto prestiti non per uso personale» di Penati ma «per uso della politica locale di Sesto e forse anche Milano».
Di certo, nel processo di Monza l'ex inquilino di via Vivaio segna un nuovo punto a proprio favore. Solo poco rempo fa, infatti, a ritrattarte la propria versione era stata l'architetto Renato Sarno, indicato dagli inquirenti come il «collettore delle tangenti» per il politico e per la sua fondazione «Fare Metropoli». Le vecchie accuse, aveva spiegato Sarno in aula, erano frutto «di una serie di angosciosi condizionamenti» mentre si trovava in carcere. «Ho subito pressioni di tutti i tipi - aveva detto l'architteto - . Mi è stato chiaro che se non avessi detto qualcosa su Penati non sarei uscito da lì». Dunque, il famoso file con nomi e cifre trovato nel suo pc non avrebbe indicato mazzette ma «semplici finanziamenti che ho raccolto per la campagna elettorale tra gli imprenditori con cui avevo rapporti professionali». Inoltre, precisava ancora Sarno, l'acquisto della Serravalle a cifre tutt'altro che contenute non sarebbe stato concluso per fare un piacere ai vertici del Pd.
Una vicenda, quella sull'autostrada e delle tangenziali milanesi, su cui meno di una settimana fa si era pronunciata la Corte dei Conti, che aveva scagionato Penati e la sua giunta provinciale dall'accusa di essere responsabile di un danno erariale da 120 milioni di euro. Insomma, un filotto di buone notizie per Penati, che - ormai anni fa - venne indicato come l'astro nascente del partito e che l'inchiesta monzese ha fatto precipitare nella polvere. Si torna in aula il 28 aprile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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