Pizzo e minacce, la violenza delle cosche

Pizzo e minacce, la violenza delle cosche

Ci sono i voti comprati, gli appalti promessi e a volte concessi, i favori e le minacce: insomma, tutto il complesso settore dei rapporti con la politica. Poi, nelle carte dell'inchiesta che ha portato in cella tra gli altri l'assessore Domenico Zambetti, ci sono storie più propriamente criminali. Anch'esse significative, perché raccontano di una Lombardia dove gli steccati tra economia pulita e crimine ormai sono saltati, e gli imprenditori che ricevono richieste di pizzo si rivolgono - anziché ai carabinieri - ai clan rivali.
Ma ci sono anche episodi grotteschi. Per dimostrare il potere della cosca, il pm D'Amico mette a verbale quanto accade il 16 ottobre 2011, quando un cane scappato dal campo nomadi di Cuggiono entra nella casa di Sabatino Di Grillo, che è lì accanto, e uccide un capretto. Di Grillo si vendica. Si legge in una intercettazione: «Allora lui che ti fa? Prende la pistola il fucile, va dentro la villa e va ad ammazzargli tutti i cani, davanti ai bambini degli zingari, ha fatto un macello». Una donna del campo va dai carabinieri a sporgere denuncia. Poi capisce che non è il caso, e la ritira.
Più allarmante è l'elenco degli imprenditori che ricorrono ai servigi del clan. Valentino Gisana, titolare di un ristorante a Crema, riceve una richiesta di «pizzo» da parte di un gruppo di calabresi. Invece che allo Stato, Gisana si rivolge agli altri calabresi, quelli del clan Di Grillo-Mancuso, che affrontano i compaesani e li costringono a desistere. Dettaglio curioso: il pm contesta il reato di estorsione non solo ai malavitosi ma anche al ristoratore per avere ottenuto «l'ingiusto profitto di non dover pagare il pizzo»
Liberio Rossi, imprenditore bergamasco con un bel po' di precedenti penali per truffa e altro, riceve una richiesta di pizzo da Alessandro Gugliotta: che lo aspetta una sera, all'uscita dalle «Terme di Milano» di Porta Romana, gli dimostra di sapere tutto di lui, e gli chiede sessantamila euro. Anche Rossi invece di andare alla stazione dei carabinieri più vicina chiede aiuto a Eugenio Costantino, uno dei capi dell'organizzazione, che conosce da tempo: «Ma cazzo è possibile che i tuoi visto che sono così potenti...», e ottiene uno sconto a 20mila euro. Non sa che l'operazione è stata fatta da Gugliotta e Costantino in accordo tra loro fin dall'inizio.
Nella richiesta di custodia compare poi un lungo elenco di imprenditori e commercianti che utilizzano i servizi del clan Mancuso - invece che di un avvocato - per recuperare crediti. Il clan ha i suo specialisti nell'individuare e recuperare i debitori riluttanti, e ha i metodi che si possono immaginare per convincerli a pagare. Dice il 2 dicembre 2010 Sabatino Di Grillo al suo compare Vincenzo Evolo: «E tu due pugni sulla testa gli dovevi dare».
C'è poi la storia di un furbacchione di nome Mauro Galanti, abituato a rifilare in giro diamanti sintetici come se fossero veri, fa l'errore di fare lo stesso gioco anche con dei personaggi legati al clan. I calabresi gliela giurano. E quando cerca di tirare un nuovo bidone a uno dei negozi «Compro Oro» di Costantino lo attirano in trappola e lo sequestrano. Sequestro lampo: tre ore, riscatto di cinquemila euro. Lo rilasciano al metrò di Molino Dorino.
Come ogni clan che si rispetti, anche i Mancuso hanno il loro uomo tra le forze dell'ordine: è un appuntato dei carabinieri in servizio presso la Procura di Milano, cognato di Costantino.

«Ci avvisa delle indagini», si legge nelle intercettazioni. Ma in realtà di «soffiate» non c'è traccia, e l'appuntato evita l'arresto: anche se nelle intercettazioni sembra al corrente almeno in parte delle attività della banda.

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