Anche se sono «di natura artistica», i graffiti sui muri tracciati senza il consenso del proprietario rimangono un «imbrattamento». Vale anche per le poesie a cielo aperto di Ivan Tresoldi (nella foto, in azione), celebre street artist milanese. Questo è il principio dichiarato dal giudice monocratico Roberto Crepaldi nelle motivazioni della sentenza con cui, il 28 settembre, ha condannato Tresoldi a una multa di 500 euro, con pena sospesa, per i suoi versi comparsi in città tra il 2011 e il 2014.
Il caso è nato da una scritta di fronte alla Biblioteca Bicocca e dalla denuncia di un gruppo di guardie ecologiche. Interrogato dalla polizia locale, Tresoldi, difeso dall'avvocato Angela Ferravante, si era autodenunciato portando le foto dei suoi graffiti. Da qui l'inchiesta del pm Elio Ramondini e il processo per imbrattamento in cui Aler e Comune erano parte civile. Il giudice mette sullo stesso piano il diritto alla «libertà artistica», sancito della Costituzione, e quello alla «proprietà»: «Solo il proprietario (o possessore, se diverso) - scrive - è legittimato a decidere quale sia l'aspetto estetico del bene». Le alterazioni non autorizzate sono un danno. Il magistrato non entra nel merito della natura artistica delle opere di Tresoldi e sostiene che gli è impossibile stabilire cos'è arte e cosa no.
Spiega solo che «affinché possano ritenersi integrati gli estremi di un imbrattamento, non è necessario che il risultato finale susciti ribrezzo». Né può essere dichiarato che «l'apprezzamento della comunità artistica e un eventuale giudizio ex post favorevole» di istituzioni o residenti «escludano gli estremi oggettivi del reato».
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