«Quella poesia inviata alla famiglia di Lidia Macchi l'ho scritta io»: il colpo di scena arriva alla prima udienza del processo per l'omicidio della studentessa di vent'anni, avvenuto vicino a Varese nel gennaio del 1987. Ieri in aula i difensori dell'imputato Stefano Binda, Patrizia Esposito e Sergio Martelli, hanno riferito che un'altra persona ha dichiarato di essere l'autore di In morte di un'amica, componimento considerato dagli inquirenti una confessione e che quindi sarebbe opera del killer. L'uomo, di cui non è stata resa nota l'identità, il 4 aprile ha contattato un avvocato di Brescia chiedendogli di rappresentarlo. Proprio il legale, che i difensori hanno chiesto possa testimoniare al processo, ha informato dell'inaspettata novità i colleghi, la Corte d'assise e la Procura di Varese. Questo elemento, secondo la difesa, scagiona totalmente Binda. Il 49enne ex compagno di liceo della vittima era stato arrestato lo scorso anno su ordine del sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, cui dopo il pensionamento è subentrata Gemma Gualdi. Una delle colonne dell'accusa era proprio quella lettera. Secondo la Procura generale, che aveva avocato le indagini, conteneva dettagli sul delitto che solo il colpevole poteva conoscere. Inoltre sia una testimone sia una perizia avevano attribuito quella grafia a Binda.
L'imputato, che era presente in aula, si è sempre dichiarato innocente. I suoi avvocati hanno chiesto ai giudici di impedire l'ingresso delle telecamere al processo per evitare la «violenza mediatica» ai danni del loro assistito. La Corte ha dato il via libera alle riprese, ad esclusione del volto dell'imputato. All'udienza era presente anche Paola Bettoni, la madre di Lidia che insieme ai due figli si è costituita parte civile assistita dall'avvocato Daniele Pizzi.
«Dopo trent'anni di sofferenza - ha detto - finalmente si apre il processo sulla morte di mia figlia, spero che emerga la verità. Non voglio un colpevole a tutti i costi, ma voglio che si faccia chiarezza dopo tanti anni».CBas
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