Quegli spartiti ostici di Benjamin Britten

A bbinare musica e l'arte e, nel contempo, continuare lo «sdoganamento» di autori che sono stati in qualche modo trascurati, per i più diversi motivi. Tutto accade in un evento culturale che, di nuovo, riporta alla mente il dibattito su come proporre oggi la musica contemporanea.

Stiamo parlando dei concerti a cura del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano al Museo del Novecento, dove, oggi alle 17.30, ingresso libero e introduzione dell'esperta Giulia Ferraro, ci sarà un recital dedicato al compositore inglese Benjamin Britten, in occasione del quarantesimo anniversario della sua scomparsa. Dopo The turn of the Screw, proposto al Teatro della Scala nell'autunno scorso, ecco al museo Phantasy Quartet per oboe e trio d'archi; e ancora Suite n.1 per violoncello solo. L'opera viene accostata al dipinto di Emilio Tadini che si intitola Magasins Reunis.

Al di là di Britten e del suo pensiero (che si può trovare ben riassunto nel libriccino autobiografico La musica non esiste nel vuoto curato dallo scrittore-musicologo Luca Scalini, e della storia del dipinto italiano, che appartiene a una numerosa serie realizzata nel 1973) vale la pena ritornare su quali strade alternative vengono scelte per la fruizione di brani che, vista la loro osticità e durezza (ma non è il caso del compositore Britten) non sempre riescono a tenere inchiodato il pubblico alle poltroncine.

Il museo viene visto, impiegato come uno dei luoghi «alternativi» più indicati per proporre concerti e recital: la possibilità di sentire materiale interessante che a volte ha bisogno di una «distanza» fisica maggiore e psicologica per essere goduto al

meglio; e al tempo stesso, ammirare un lavoro artistico plastico con significati e rimandi che messi vicini, accostati alle note e affini, come pezzi di un puzzle, creano un mosaico unico. Ascoltare (e vedere) per credere.

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