«Location» è un termine anglosassone più in voga a Milano che a Londra. Dicesi location, scrive il dizionario Sabatini Coletti, il «set esterno scelto per l'ambientazione di un film o di un servizio fotografico». In realtà, sotto la Madonnina, lalocation rappresenta il valore imprescindibile del «contenitore» che non di rado supera per importanza il contenuto specie riguardo a tutto ciò che è «life-style», termine coniato da Max Weber per caratterizzare l'insieme dei comportamenti comuni di un certo gruppo sociale. Parlando di ristoranti, anzi di «food» - altro inglesismo in voga nell'era Expo - la location è un tema che in questi anni ha visto impegnata la crème degli studi di architettura e design, con investimenti talora milionari in progetti, arredamento e illuminazione degli spazi. Non mancano già nel '900 esempi in cui la location di ristoranti e caffetterie ha segnato epoche indelebili. Basti ricordare Zucca in Galleria , locale liberty prediletto da Verdi e Toscanini all'uscita dalla Scala, o il razionalista Caffè Craja disegnato da Luciano Baldessari e frequentato da Quasimodo e Savinio; o la Milano da bere del St. Andrews , del Baretto o del Toulà che ha visto impegnati i migliori progettisti degli '80. È in questi ultimi anni, però, che l'abbinamento cibo-location ha raggiunto forse le punte più sofisticate, mettendo gli stessi chef al centro di progetti di design che hanno trasformato i tradizionali ristoranti in vere e proprie icone dell'estetica contemporanea. Il libro «Milano Design Restaurants» a cura di Maria Vittoria Capitanucci (Skira) ripercorre i capisaldi di questa epopea del gusto che, complice Expo, rappresenta un'evoluzione in termini di rapporto contenuto-contenitore. Rispetto al passato, infatti, il fattore progettistico si è sempre più rivelato direttamente proporzionale alla qualità del prodotto, così come designer e architetti hanno sviluppato nuovi modelli di location sempre più «polifunzionali». Veri e propri testimonial della società che cambia, alcuni tra i ristoranti glamour di nuova generazione hanno contribuito a mutare, grazie a prospettive inedite, l'iconografia stessa della città. Basti pensare alla terrazza con piscina del Ceresio7 con vista sullo skyline di Porta Nuova, o a quella a ridosso dei grattacieli del nuovissimo Radio Bar al decimo piano dell'Hotel Melia, o quella inedita su Parco Sempione dell' Osteria con Vista di Triennale; o quella ancor più inedita su piazza Scala del temporaraneo Priceless sul tetto delle Gallerie d'Italia. Expo a parte, i designer della ristorazione hanno dato fondo a tutta la loro creatività anche per restituire alla città, trasformandole, location dimenticate.
Un caso su tutti, la Segheria di Carlo e Camilla , l'ultimo locale inaugurato dallo stellato Cracco in un ex capannone di via Meda, oppure Un posto a Milano alla Cascina Cuccagna che, in Porta Romana, recupera abilmente l'eterno fascino della trattoria fuoriporta.Quei ristoranti di design che hanno cambiato la città
Così i nuovi locali milanesi sono diventati modelli di alta progettazione Dalle terrazze glamour alle ex segherie, gli chef in team con gli architetti
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