È il primo giorno di Ramadan nella Milano musulmana. La Milano dei centri «informali», come li chiama premurosamente la sinistra - mentre la Regione li considera abusivi, per la sua legge. I niqab sono ovunque. Anche in un centro commerciale di periferia (foto di ieri) capita di incontrare questi mortificanti veli integrali. «Il problema non è il velo in sé - spiega Maryan Ismail, la antropologa italo somala che continua la sua battaglia per le donne musulmane - il problema non ci sarebbe se le nostre donne fossero libere di acconciarsi come vogliono, ma invece c'è discriminazione e costrizione. Nessuna di noi può andare a capo scoperto in Paesi teocratici come l'Iran, o in Afghanistan, o come la stessa Somalia, la mia Somalia». Su questo dramma pesa l'equivoco della sinistra e delle femministe occidentali: «Il femminismo storico ha perso questa battaglia - spiega - La stiamo portando avanti noi, noi donne afgane, tunisine, marocchine, donne che cercano di emanciparsi, soffrendo molto. Non mi affido alle donne di sinistra e femministe perché una cosa del genere non la capiscono.
Hanno tutti i diritti del mondo e non si rendono conto che mancano alle donne musulmane, mentre uomini senza valore, vestiti all'occidentale con magliette firmate, ridicoli, promuovono questo stereotipo e si fanno seguire da quei poveri fantasmi intabarrati».
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