Ieri il braccio di ferro nell'aula del Pirellone con il voto sul referendum per l'ormai mitico Bigarello, domani (a meno di un rinvio) la resa dei conti in una finalmente convocata riunione del gruppo in Regione. Perché così come a Roma, anche nel Pdl in Lombardia sembra ormai inevitabile un confronto per ridefinire gli organigrammi e soprattutto i rapporti di forza interni. A cominciare dal Pirellone, dove alla denunciata spaccatura tra la giunta e i consiglieri ora si aggiunge anche quella del gruppo. Atteso da una seduta di autocoscienza collettiva ormai inevitabile. Troppe le fughe in avanti e gli spunti polemici che stanno avvelenando il clima, rischiando di interferire pericolosamente su riforme di capitale importanza come quelle dell'Aler (le case popolari) e della sanità lombarda. Meglio, dunque, la ricerca di un accordo tra le diverse anime, come chiesto da Berlusconi sul proscenio parlamentare. E dato che la Lombardia per il Pdl continua a rivestire un grande ruolo nel mosaico nazionale e molti dei protagonisti sono gli stessi, è chiaro quale peso si trovi ad avere questo test.
Ecco perché i 2.113 abitanti di Bigarello e il voto sul referendum per la loro fusione con san Giorgio di Mantova sono loro malgrado diventati gli involontari protagonisti del primo round di un match che si giocherà su più riprese. Perché con una Lega che si era schierata contro il referendum e il Pd a favore, il Pdl ha pericolosamente scricchiolato dividendosi: dei diciannove consiglieri in undici sono rimasti in aula, gli altri fuori. Al di là del pretesto Bigarello diventato il classico casus belli, non a caso l'ala ciellina e quelli che ormai fanno parte del gruppo organizzato dal coordinatore cittadino Giulio Gallera e dal «socialista» Alessandro Colucci, piuttosto critici con il coordinatore regionale e vice governatore Mario Mantovani. Che da giorni predica la calma, ma domani si troverà sul tavolo la richiesta di porre fine alla guida a due del gruppo Pdl. Con la retrocessione del fedelissimo mantovaniano Claudio Pedrazzini (oggi co-coordinatore) e la proposta di un «direttorio» a cinque per dare ai consiglieri un maggior peso politico. Nei confronti della giunta e di una Lega che a Palazzo Lombardia la fa ormai da padrona. Al vertice del nuovo organismo la conferma come capogruppo del ciellino Mauro Parolini, affiancato come vice vicario dal laico Mauro Piazza (oggi nel nuovo bestiario definibile «lealista») e non a caso uno dei quattro che con Gallera e Colucci aveva organizzato la manifestazione all'Auditorium pensata per dare un segnale a Mantovani e che poi la sorte aveva trasformato nella prima uscita ufficiale della neonata Forza italia.
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