E anche questa volta il carro del (presunto) vincitore si va talmente affollando da chiedersi se riuscirà ad arrivare in fondo. Perché a sinistra sono abituati a gioiose macchine da guerra che rimangono in panne prima di vincere. Lasciando appiedati candidati smaniosi e un sindacato che troppo spesso dimentica che la sua ragione sociale è la difesa dei lavoratori e non l'assalto al Palazzo. Come nel caso del segretario della Cgil Lombardia che, in quest'orgasmo liberatorio che sta prendendo il mondo progressista al solo annuncio delle dimissioni di Formigoni, pensa bene di annunciare una bella manifestazione per il 10 novembre. «Ridiamo credibilità alla Regione Lombardia. Via Formigoni, elezioni subito», la parola d'ordine di un sindacato che ancora una volta arriverà in ritardo, visto che per quella data il consiglio sarà già stato sciolto e la Cgil ancora una volta si sarà fatta beffe dei lavoratori. Ma soprattutto del buonsenso.
Per il resto c'è solo la solita anarchica ammucchiata di aspiranti. La corsa di una sinistra che in Lombardia sconta la frustrazione di decenni d'opposizione e l'incredibile serie di candidati sbagliati, ridicolizzati per ben quattro volte da Formigoni. L'ultima con il 56,1 per cento dei voti, contro il misero di 33,2 di un certo (è bene ricordarlo) Filippo Penati oggi accusato di tangenti, ma allora candidato dell'intero centrosinistra. E forse anche per questo e non senza un bel po' di maldipancia, la sinistra vorrebbe buttarsi sull'ormai taumaturgica società civile, l'inutile foglia di fico di una politica fallita. Ecco allora avanzare Alesandra Kustermann, il primario della Mangigalli. «Sono pronta a metterci la faccia», dice l'illustre ginecologa alfiere di tante battaglie femministe, favorevole alla 194, ma meritoriamente attenta al lavoro del Centro aiuto alla vita della stessa clinica. Nel programma lotta alla corruzione e riforma della sanità. E poi Umberto Ambrosoli, il figlio dell'eroe borghese che ancora una volta dovrebbe declinare l'invito. In pista per i vendoliani di Sel il regista antimafia Giulio Cavalli che dalla sua ha lucidità e giovinezza. Due qualità che a sinistra non piacciono. E, infatti, in cima alla lista rimane Bruno Tabacci, il democristiano per tutte le stagioni che presidente della Regione già lo è stato: 25 anni fa, nell'era geologica dello scudo crociato, ma non ha nessuna intenzione di seguire il bell'esempio di Veltroni e farsi da parte. A organizzare la resistenza dell'apparato di partito, c'è l'ambizione di Pierfrancesco Majorino che però dovrebbe lasciare il passo al più graduato segretario provinciale del Pd Roberto Cornelli. A far da guastatore, ancora una volta, Pippo Civati.
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