Il Requiem di Verdi a Pavia: "Una messa di grande peso"

Chailly alla testa dell'orchestra della Scala in Duomo: "L'opera fu diretta dall'autore per ricordare Manzoni"

Il Requiem di Verdi a Pavia: "Una messa di grande peso"

«Quando senti l'attacco dei violoncelli non puoi non pensare al peso che quest'opera ha e ha avuto per il teatro alla Scala e per Milano». È la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, una delle partiture in cui si identificano Milano e il suo teatro, una sorta di Cenacolo Vinciano in musica. E dunque uno dei patrimoni congeniali per viaggiare nel mondo (questa volta col sostegno di Brembo). Il direttore musicale della Scala, Riccardo Chailly, lo eseguirà domani nel Duomo di Pavia in occasione del festival di Musica Sacra. Il Requiem è un'opera che contribuisce a creare l'identità della città di Milano «perché Verdi in persona volle dirigere la Messa da Requiem: a Milano, in San Marco, come omaggio a Alessandro Manzoni», ancora Chailly.

Dopo Pavia, e sempre nel nome di Verdi, i complessi scaligeri faranno tappa il 24 e 25 ad Amburgo, nella famosa sala sull'acqua. La Elbphilarmonie, struttura firmata Herzog e de Meuron, costi folli (789 milioni), gestazione turbolenta, ma ora icona della musica del secondo millennio. In breve, figurare nella sua stagione è cosa opportuna. Il Requiem sancisce inoltre il ritorno alla Philharmonie di Parigi (7 giugno), «col tempo si rinnovano le generazioni e tornare alla Philharmonie con una partitura come questa affidata ai complessi sinfonico-corali scaligeri è profondamente significativo, la eseguiamo con grande orgoglio» (Chailly). Orgoglio, senso di appartenenza ad un teatro sancito dalla consapevolezza d'essere un'orchestra da Oscar. L'orchestra scaligera ha appena vinto l'Oscar della musica agli International Opera Awards, è dunque considerata il complesso di punta nel mondo dell'opera, «l'abbiamo saputo durante una rappresentazione di Don Pasquale. C'è stato un momento d'orgoglio collettivo molto forte qui in teatro».

Alla radice, un lavoro quotidiano, invisibile ai più, svolto appunto dal direttore musicale. Ed è questo ciò che più sta dando soddisfazione a Chailly al quale abbiamo chiesto un bilancio di questi suoi primi anni di conduzione scaligera. «Mi sta dando molta soddisfazione il percorso scelto, quindi l'attenzione al repertorio italiano, a capolavori nati in questo teatro e talvolta dimenticati. Penso alla prima versione del 1904 Madama Butterfly di Puccini, a Giovanna d'Arco di Verdi, alla riproposta di titoli che mancavano da anni». Nel frattempo si approfondisce sempre più il lavoro di ricerca sonora quotidiana con l'Orchestra e il Coro. «Del resto è proprio questo rapporto con lo stile e il suono stesso che contraddistingue il lavoro giornaliero di cui non si parla, ma che poi si coglie nel momento dell'ascolto».

Stesso discorso vale per la Filarmonica della Scala, complesso che Chailly ha ripreso a far viaggiare nel mondo riportandolo in sala d'incisione (Decca). L'obiettivo è ricordare che i giganti dell'opera sono nel Dna scaligero, ma allo stesso tempo Scala è anche sinonimo di Mitteleuropa. «Siamo stati invitati con una certa curiosità due anni fa, quando abbiamo proposto un programma interamente incentrato su Schumann per la tournée europea con la Filarmonica. Scelta che poi suscitò un grande plauso in Germania», patria - appunto - di Schumann. Con esecuzioni, tournée, incisioni, la Scala sta dimostrando che melodramma e musica pura possono convivere sotto lo stesso tetto: contaminandosi.

Di questo e altro Chailly parlerà domenica 27 sul palco dei Giardini Montanelli al Wired Next Fest in una conferenza dal titolo - appunto - «Contaminazioni musicali». Uscita che prelude al grande appuntamento della Filarmonica in piazza Duomo, il 10 giugno, con il pianista Denis Matsuev. Il programma sarà russo («ma avremo un bis molto meno russo...»).

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