Da Villa Literno a Milano, è sempre «terra dei fuochi». Chissà se è vero che, come dice il procuratore Francesco Greco, oggi trafficare rifiuti rende più che trafficare droga. Di certo si rischia molto di meno. Così gli alcuni soggetti che in febbraio erano stati arrestati nelle indagini seguite al rogo di via Chiasserini se la sono cavata con pene quasi simboliche e sono tornati nel business a tanti zeri della spazzatura. E ieri tornano a venire arrestati, su richiesta del pm Donata Costa che dal giorno del rogo scava sull'intreccio di affari che governa lo smaltimento abusivo dei rifiuti urbani. Venti arresti in tutto, rifiuti che vengono non solo dal sud - Acerra, Maddaloni, Casoria, Villa Literno - ma anche dall'operoso Nord del Paese, dove aziende private (e forse, tramite loro, anche pubbliche) trovano più conveniente e sbrigativo liberarsi così dell'immondizia.
Così si scopre che l'ultima bomba potenziale, l'ultima discarica pronta a trasformarsi in rogo e a sprigionare diossina, era a ridosso della città, sulla linea verde del metrò: Gessate, via Enrico Fermi. Qui la Winsystem, altra azienda del terzetto già inquisito, aveva accumulato 1.500 tonnellate di rifiuti, «senza alcuna autorizzazione e senza alcuna precauzione per la salute e l'incolumità pubblica», facendoli movimentare da «operai extracomunitari assunti in nero e disponibili a svolgere l'attività illegale per un compenso modesto». Oltre a quello di Gessate, un altro capannone alle porte di Milano, a Cornaredo, veniva usato per lo stesso scopo (tremila tonnellate di spazzatura), come altri sei stabilimenti parsi tra le province di Brescia, Mantova, Lodi e Verona.
Massimo Sanfilippo, considerato dalla Procura il personaggio chiave del traffico illecito, ha descritto in modo colorito le trattative con il capo dei «napoletani»: «Quando il camion è arrivato ho verificato che i rifiuti erano diversi da quelli che si era impegnato a conferirmi, emanavano un odore incredibile, c'erano dei topi, e quindi ho detto all'autista di riportarsi via quella roba». É il carico che poi approda in via Chiasserini, nel capannone andato a fuoco per la gioia degli abitanti della zona. E Sanfilippo aggiunge un aneddoto interessante: a presentarsi insieme ai camion della Madda, l'azienda dei napoletani, furono una volta anche i carabinieri, che assisterono allo scarico e ne certificarono la regolarità.
«La merda è diventata una miniera d'oro», racconta in una intercettazione Maurizio Assanelli, titolare di una azienda di trasporti che consegnava i maleodoranti carichi nei capannoni della banda.
E a scandalizzare il giudice è il fatto che il traffico sia andato avanti anche dopo gli arresti di febbraio: l'ordinanza parla della «pervicacia criminale degli indagati», «totalmente accecati dalla prospettiva di realizzare in tempi brevi ingentissimi guadagni con rischi penali tutto sommato contenuti».
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