«Ho frequentato, tutti i sabati, per oltre cinque anni il laboratorio di scrittura creativa del carcere di massima sicurezza di Opera, cercando in tutti i modi di uscire dalla logica del reportage per entrare nell'idea del ritratto, una dimensione nella quale luce, spazio, sfondo, tempo, relazioni, appartengono a una realtà definita e non modificabile. Volevo non raccontare, ma fermare un'apparenza fisica, un aspetto, una figura, una sembianza, un atteggiamento, un portamento, senza retorica e senza l'ambizione di andare oltre o cercare di cogliere l'anima. Potrei dire che forse, quando si lavora stretti, anche questa è una forma di rispetto». A parlare è la fotografa milanese Margherita Lazzati e dalla sua esperienza settimanale insieme ai detenuti del carcere di Opera ne è venuta fuori una mostra fotografica che, al di là del suo significato artistico, assume, dal punto di vista umano e morale, una valenza importante: fare da ponte tra i volti ritratti di chi è rinchiuso in carcere e gli sguardi delle persone «libere» che li vedranno esposti. Un modo per liberare i visi, portarli in giro per la città, strapparli anche se solo per qualche istante, a un «dietro le sbarre» di durata variabile sino al «fine pena mai». Fino al 29 marzo, alla Fondazione Ambrosianeum, in collaborazione con Galleria l'Affiche, è possibile ammirare Ritratti in carcere, un viaggio del tutto particolare attraverso una trentina di ritratti fotografici, di persone recluse e volontari, realizzati dall'artista meneghina, tra l'estate del 2016 e gli inizi del 2017 (con l'autorizzazione del Ministero della Giustizia e grazie alla lungimiranza dell'allora direttore Giacinto Siciliano), scatti effettuati nei locali del Laboratorio di Lettura e Scrittura creativa di Opera, al quale la Lazzati collabora dal 2011. Con una peculiarità del tutto particolare. L'idea iniziale della fotografa era quella di fare un omaggio al Papa in occasione del Giubileo delle persone detenute.
Un modo per illustrare come, anche all'interno di una prigione, ci possano essere degli spazi dove i detenuti diano espressione alla propria creatività. Vedendo lo scatto di un detenuto con alle spalle un volontario è nata l'idea di una sorta di gioco, il «chi è chi». Lo stesso visitatore della mostra farà difficoltà a distinguere chi sia il recluso da chi sia il volontario. Una maniera interessante per trasmettere il suo messaggio, che è anche una provocazione: mostrare alla gente quanto sia difficile «etichettare» un volto.
La Lazzati ha, per così dire, «mischiato le carte» e, con gli scatti della sua Leica, ha voluto inquadrare, nella stessa foto, chi ha subito una condanna, insieme a chi si impegna, come volontario, a renderla il più umana possibile. Senza pregiudizi, sarà impossibile individuare gli uni dagli altri. Anche se poi, non si può non rimanere colpiti anche dall'immagine di un uomo che nasconde il proprio volto mettendo davanti le sue mani protese verso l'obiettivo.
Con Ritratti in carcere, la Lazzati continua così a dar conto di ciò che è nascosto, o perché precluso alla vista, come già accadde nel 2017 con la rassegna Sguardi dedicata agli ospiti della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, e nel 2015 con la mostra Visibili. inVisibili. Reportage, entrambe presentate all'Ambrosianeum.(Fondazione Ambrosianeum, via delle Ore 3, Milano. Fino al 29 marzo).
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