Meno male che c'è Mohamed. Perché se non fosse per questo ragazzo albanese grande e grosso (nella foto, con la palla), il rugby milanese dovrebbe arrendersi a un doloroso dato di fatto: l'assenza di suoi rappresentanti nell'Italia under 18, il gruppone che fa da incubatrice alla Nazionale del prossimo decennio. A dispetto delle centinaia di praticanti, dei club che nascono in continuazione, delle mamme che finalmente non hanno più patemi a scaraventare i pargoli in campo, dal rugby meneghino faticano ad emergere talenti di prima fascia.
Così nei giorni scorsi, quando il tecnico dell'Italia under 18 Mattia Dolcetto ha diramato l'elenco dei convocati per il primo raduno del 2019 c'è mancato un soffio che nei ventotto nomi non apparisse un solo frutto del vasto vivaio milanese. La consueta marea di veneti, qualche toscano e romano, persino un inglese. E Milano? Fortunatamente c'è lui: Mohamed Hasa, diciassette anni, albanese di Quarto Oggiaro. Sarà sulle sue (ampie) spalle a pesare il compito di tenere alto l'orgoglio ambrosiano in maglia azzurra.
Un bel balzo, dal giorno di quattro anni fa in cui, spinto dal suo professore di ginnastica al Capac dove studia da meccanico, bussò alla porta del Rugby Milano, la vecchia Asr. Amore reciproco a prima vista. E l'inizio di un percorso di formazione che lo ha portato a essere invitato all'Accademia dove, in seno al Leone XIII, la federazione alleva i potenziali campioni. Lui è rimasto il ragazzo che era, le sue storie di emigrazione e periferia cucite addosso. Ma adesso vive per il rugby: pilone destro, quello che ha sulla schiena tutto il peso della mischia. La cosa, a quanto pare, non lo spaventa. Come non lo spaventava attraversare da solo Milano quando a tredici anni lasciava lo spogliatoio dopo i primi allenamenti: i compagni avevano la mamma ad aspettarli con la macchina, lui si avviava a piedi nella notte milanese.
Chissà se anche questo, l'esser cresciuto a distanza di sicurezza dalla bambagia, gli ha dato gli strumenti per emergere, per imboccare la strada che porta alla maglia azzurra. Dalla sua parte, racconta chi lo conosce, ha la determinazione di ferro di chi ha trovato nel rugby non solo una passione ma anche una speranza di emancipazione sociale.
Forse diventerà un campione, per qualche anno magari il rugby sarà il suo lavoro. Oppure non ce la farà, resterà solo un bravo giocatore qualunque. Ma avrà imparato qualcosa che si porterà dietro per il resto della sua vita: il sacrificio non è mai improduttivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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