Coronavirus

"Noi, invisibili, lasciati soli". Dov'è il "socialismo" di Sala?

Beppe Sala si fa promotore di un "nuovo socialismo", ma nei mesi del lockdown ha reso la vita impossibili agli invisibili per antonomasia: i clochard

"Noi, invisibili, lasciati soli". Dov'è il "socialismo" di Sala?

“Il socialismo non appartiene alla storia, ma all’avvenire”. Ne è convinto il sindaco di Milano Beppe Sala che recentemente, in un’intervista al Corriere della Sera, ha invitato a la sinistra a recuperare “un’idea politica di società”.

Sala soddisfatto per la gestione dell'emergenza

Ma, alla prova dei fatti, come si esplica questa idea di società di cui Sala si fa promotore? Nei mesi del lockdown è davvero stato attento alle problematiche dei più deboli? Prendiamo gli invisibili per antonomasia: i clochard. Il sindaco di Milano, in una recente video-intervista rilasciata sempre al Corriere, si è detto soddisfatto di come è stata gestita l’emergenza. I 486 ospiti di Casa Jannacci sono diventati 200, mentre gli altri stati suddivisi in 4 spazi e solo un filippino con gravi patologie è deceduto. “Su 486 ospiti c’è stato un morto ed è un dolore però – ribadisce con soddisfazione Sala - è un morto su 486”. Ora non sappiamo quanti altri senza tetto hanno perso la vita nei mesi di lockdown, ma di certo i clochard a Milano non sono 486. Anzi, si calcola che circa 2500 abbiano continuato a dormire per le vie del centro del capoluogo lombardo dove, per evitare un’ulteriore diffusione di contagi, sono stati chiusi quasi tutti i dormitori e le mense per clochard.

I clochard: "Siamo stati lasciati soli"

“Avremmo dovuto trascorrere la quarantena in casa, ma noi una casa non l’abbiamo. Per il sindaco siamo invisibili”, ci racconta J., un senza tetto spagnolo molto che, come gli altri, preferisce mantenere l'anonimato e si mostra restì assai deluso di essere stato abbandonato dalle istituzioni. “La polizia non faceva altro che mandarci via da una parte all’altra della città e basta”, aggiunge. Gli fa eco F. che ci dice: “Non sappiamo neanche noi come siamo riuscito a non prenderci il Covid”. Più loquace è G., 57 anni, che vive in strada da quando è fallita l’azienda nella quale lavorava come magazziniere. “Vivevo a Cologno Monzese e, a un certo punto, pagarmi l’affitto non è stato più possibile e, poi, pian piano è andato tutto sempre peggio. Avevo una famiglia, ma quando si perde il lavoro, si perde tutto”, ci confida. In questi mesi di lockdown ha continuato a vivere per strada con la paura di diventare positivo al coronavirus. Rifugiarsi nei dormitori? “Impossibile, la maggior parte erano chiusi, ma poi lì si vivono situazioni pazzesche. C’è sempre qualcuno che beve e fa a botte. È più sicuro vivere in strada”, ci spiega Gianni che aggiunge: “Stando insieme in gruppetti di 5-6 qualcuno può andare a lavarsi o a chiedere l’elemosina avendo la sicurezza che c’è sempre qualcun altro che gli controlla la borsa o lo zaino”. Con le strade di Milano praticamente la vita per i clochard è stata ancora più dura del solito dal momento che sono mancati anche quei pochi spicci dei passanti con cui Gianni e gli altri senza tetto riescono quantomeno a comprarsi un panino. “Siamo stati lasciati soli dal Comune. Fortunatamente ci sono state le associazioni di volontariato private che, in questi mesi, hanno persino rischiato di prendersi le multe soltanto per essere venute a darci le mascherine e il cibo”, conclude Gianni.

La denuncia dell’Associazione Pro Tetto

Fernando Barone dell’Associazione Pro Tetto, a tal proposito, conferma l’assoluta assenza sa parte del Comune: “Si è pensato a contrastare la movida milanese, ma nel periodo più critico marzo-aprile, nessuno si è occupato dei clochard. Non sappiamo quanti possano essere morti perché, a un certo punto, i deceduti sono stati messi nelle bara e portati via”. Alcuni, probabilmente, hanno avuto il coraggio di tornare nelle proprie case, ma il numero di senza tetto è rimasto invariato perché la crisi ha già generato nuovi poveri. Solo a settembre si avrà più contezza di quante sono esattamente le ‘vittime del lockdown’. Di certo c’è che, durante gli 80 giorni che gli italiani hanno trascorso nelle loro case, evitando accuratamente di creare assembramenti, a Milano ci sono stati 2500 clochard che hanno dormito nel centro della città a gruppi di 5-10 persone, col rischio di morire di coronavirus. “Erano sporchi perché le docce erano chiuse così come i pochi locali di ristoro che generalmente donano del cibo. Hanno vissuto in condizioni tremende e noi abbiamo fatto quel che abbiamo potuto, consegnando guanti e circa 3-400 mascherine in tessuto riutilizzabili”, ci racconta Barone che attacca il sindaco Sala per non aver tutelato gli ultimi. “Noi di Pro Tetto abbiamo consigliato di prendere degli ostelli, ma questa situazione non è stata presa in considerazione anche se ne avevamo trovato uno con 200 posti. Non siamo stati ascoltati.

Evidentemente i senza tetto che non parlano e non votano sono stati esclusi”, ci rivela Barone.

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