Santa Giulia è senza pace: «Via le terre contaminate»

Per i giudici del Tar l'area di Rogoredo è da bonificare Un anno fa erano cadute le accuse di inquinamento

Cristina Bassi

Non c'è pace per Santa Giulia. Il Tar scrive l'ennesimo capitolo del calvario di un quartiere che doveva diventare il fiore all'occhiello della «nuova» Milano. Con buona pace dei residenti che convivono da oltre un decennio con cantieri infiniti. E dei futuri abitanti che ancora non hanno visto posare la prima pietra della loro casa.

Il Comune ha fatto sapere che il Tribunale amministrativo gli ha dato ragione - con una sentenza del 21 giugno - riguardo alla bonifica dell'area nord (ex Montedison) di Santa Giulia. Si tratta della zona tra via Bonfadini e via Manzù, cioè della parte non ancora realizzata del Piano integrato di intervento «Montecity-Rogoredo» che ormai risale al 2004. Il Tar ha infatti respinto il ricorso dalla società proprietario Santa Giulia spa, che fa capo a Risanamento. I giudici hanno riconosciuto che «la ricollocazione del terreno nel sito oggetto del procedimento di bonifica è avvenuta in difformità rispetto alle previsioni del Piano scavi del 2004». Quindi i materiali di riporto, cioè quelli usati per riempire gli infossamenti del terreno per poi costruire, devono essere considerati «fonti di contaminazione». Devono dunque essere rimossi, decontaminati o messi in sicurezza permanente. «L'Amministrazione - si legge in una nota - vede in questo modo prevalere le ragioni di cautela e tutela del territorio e della salute dei cittadini in virtù delle quali nel 2010 rigettò il progetto di bonifica presentato dalla società, ritenendolo inadeguato ad assicurare la qualità ambientale e urbana necessaria alla rinascita del quartiere». La vicenda delle bonifiche è annosa. La società aveva giudicato insostenibile finanziariamente il piano ambientale imposto degli enti, Comune e Arpa in testa. Anche se si è sempre detta disponibile a investire nelle bonifiche. Ma i giudici amministrativi ora impongono a Santa Giulia spa di seguire le indicazioni di Palazzo Marino.

È prevedibile un ricorso al Consiglio di Stato con relativo allungamento di tempi già biblici. A oggi il progetto è stato realizzato solo per un terzo. Il resto dei terreni è praticamente deserto. Nel mezzo c'è stato un côté giudiziario, finito un anno fa con Luigi Zunino e altri imputati prosciolti per prescrizione. Riguardo all'accusa più grave però, quella di inquinamento della falda acquifera, il giudice aveva sancito la non sussistenza. Lo stallo continua, i residenti hanno davanti altri anni di cantieri.

«Siamo tra due fuochi - spiega Stefano Bianco, consigliere del Comitato di quartiere e consigliere del Municipio 4 per la Lista Sala -: l'attenzione per ambiente e salute sono prioritari, ma ci rendiamo conto che l'investitore non deve essere considerato un nemico. Vigilanza e buon senso devono andare di pari passo». L'alternativa è l'abbandono dell'area al suo destino.

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