Saverio Grillo, ultimo viaggio Con lui ha traslocato Milano

A 78 anni si è spento il cofondatore della ditta di trasporti Pochi studi, molto impegno e un enorme senso degli affari

Luca Fazzo

Aveva solo la quinta elementare, conquistata alle scuole serali di Mileto, provincia di Vibo Valentia, durante la guerra. Insomma: sapeva leggere, scrivere, e poco più. Ma in quel contadino calabrese rimasto orfano a sei mesi, poco avvezzo ai libri e alla penna, c'era un istinto di pancia per gli affari. E così trasformò il mondo dei traslochi.

Saverio Grillo è morto sabato, a 78 anni. Parlare di lui vuol dire parlare del rapporto che i milanesi hanno con il trasloco: necessità, piacere, incubo. E in qualche modo pezzo dell'identità collettiva di una città dove la mobilità - sociale e fisica - è sempre stata intensa. E dove prima o poi, viene per tutti il momento di traslocare: di fare San Martino, come si diceva una volta, modo ereditato dai mezzadri delle campagne lombarde.

Quando Grillo arrivò a Milano col fratello Giovanni, nel mitico 1968, i traslochi si facevano a forza di braccia, caricandosi i mobili in spalla e arrampicandosi sulle scale. I due Grillo avevano iniziato il mestiere a Torino, dove Saverio era salito con la classica valigia di cartone dopo la naja, e dove faceva l'infermiere alle Molinette: e di notte arrotondava trasportando mobili col furgoncino. Lavoro che un po' alla volta, nel nord del boom economico, prese il sopravvento. Prima abbandonò la corsia, poi aprì una filiale a Milano, poi ci si trasferì del tutto. C'era un sacco da lavorare. Ma la svolta arrivò un giorno qualunque, girando per le campagne vicino Cuneo, dove era nata sua moglie. Lì Grillo vide i capannoni di una ditta che produceva gru oleodinamiche. E si accese nella sua testa la classica lampadina: perché non usarle per sollevare gli uomini?

Da quel giorno, i traslochi hanno iniziato a usare non più le scale ma le finestre. La prima gru arrivava al quarto piano, oggi si spingono fino a sessanta metri. Intanto Grillo si faceva avanti con una idea dopo l'altra, a volte sfidando le resistenze dei familiari, indebitandosi per le gru sempre più altre. E anche spendendo patrimoni per la pubblicità in quel veicolo oggi dimenticato che furono le Pagine Gialle, unico vero motore della comunicazione d'affari e di lavoro fino all'avvento di Google. Le inserzioni di «Grillo Saverio» (sempre così, cognome e nome, come ogni contadino strappato a stento all'analfabetismo) occupavano pagine e pagine dei volumoni gialli: ognuna costava quaranta milioni di lire, una fortuna per l'epoca. E lui arrivò a comprarne sedici per volta: ma anche così costruì il suo impero.

Aveva un carattere difficile, in casa e sul lavoro, pronto a leggendari scoppi d'ira, ma anche di repentini ritorni alla mansuetudine.

E soprattutto quell'incredibile fiuto per l'idea giusta: «Percepiva l'impalpabile», racconta ieri Giovanni, uno dei figli: «Quante volte gli abbiamo detto: questa è una follia. Ma lui non mollava, e ci azzeccava sempre». D'altronde tanti degli uomini - qualunque fossero i loro accenti - i che hanno mandato avanti Milano erano fatti così: poco bonton, e tanto sale in zucca.

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