Oggi si riunisce uno dei cda più infuocati della storia del teatro alla Scala. Si dovrebbe deliberare in tema di quattrini sauditi, da prendere o lasciare. Ma anche aggiungere un tassello all'operazione di individuazione del successore del sovrintendente Alexander Pereira, salvo che gli venga rinnovato il contratto fino al 2022 allineandolo a quello del direttore musicale Riccardo Chailly. La faccenda è nota. I consiglieri litigano perché c'è chi rifiuta l'investimento di 3 milioni l'anno, per cinque anni, offerto dall'Arabia Saudita: un Paese che da un lato vive una rivoluzione culturale, su spinta del programma Vision2030, dall'altro è un nugolo di intrighi, vedi il caso Khashoggi. Il punto è un altro: 15 milioni centellinati in 5 anni sono briciole per un ministero della Cultura che ne ha spesi 400 per il Salvator Mundi di Leonardo da Vinci. Briciole se confrontati con i 525 milioni di dollari per poter utilizzare (per 30 anni) il brand Louvre da Abu DHabi, il vicino di casa assunto a modello. Una cifra irrisoria, neanche il 3% del budget scaligero, dato il prezzo da pagare: la presenza nel cda di un esponente arabo. E comunque, le trattative sono già state avviate. L'11 febbraio il cda approvò le tournée della Scala che includono una tappa a Riyad nell'estate 2020 e un'altra quest'anno, con l'Accademia scaligera, nel teatro Ithra costruito sul Golfo Persico dal colosso petrolifero Aramco. È poi delle ultime ore la notizia data da Repubblica che un assegno arabo di 3 milioni, corrispondente al primo anno di finanziamenti, è già stato depositato presso un notaio.
Il regno saudita ha predisposto un budget di 64 miliardi di dollari per la cultura e intrattenimento. E l'Europa già s'è messa in moto così come è attiva sul fronte Emirati, Oman, Qatar, Kazakistan, nei Paesi insomma dove la cultura prospera grazie ai petrodollari. Tuttavia, altrove si muove un sistema-Paese, così come i cda sono meno caciaroni. L'anno scorso il ministro della Cultura della Francia e l'omonimo saudita firmarono un accordo pianificando, tra l'altro, una collaborazione fra il nascente Teatro d'Opera di Jeddah, la seconda città araba e l'Accademia dell'Opéra di Parigi ingaggiata per formare le maestranze locali. All'Opéra sono prudenti, ci spiegano che il progetto è in standby, però sia Francia che Germania, anch'essa già coinvolta in operazioni musicali, si sono attivate seguendo protocolli. Da noi ha agito in autonomia Alexander Pereira che come prima mossa si è affidato alla mediazione di un giornalista italiano, militante leghista, che scrive anche per Arab News, la testata di punta del Regno e per la quale lavorò anche Khashoggi. Poi il pasticcio scoppiato due settimane fa con la divulgazione della notizia cucinata in stile «mamma li Arabi». In questa atmosfera il prolungamento del mandato di Pereira non è più così scontato come pareva fino a qualche giorno fa, sebbene neppure il nome su cui punta l'ala anti-Pereira, ovvero quel Carlo Fuortes numero uno dall'Opera di Roma, abbia grandi chance di vittoria con i sindacati sul piede di guerra conoscendone la propensione ad alleggerire gli organici. Le alternative a Fuortes, individuate da un'azienda di cacciatori di teste, sono semplicemente improbabili. Nonostante la fretta dei no-Pereira, è possibile che si trovi il modo di far slittare il tutto all'anno prossimo col rinnovo del Cda. E quindi va bene l'assegno depositato a garanzia, ma attenzione perché i fondi sauditi non sempre sono una certezza.
Proprio in questi mesi il magnate saudita fondatore di Falcon Mall si sta sfilando da investimenti milionari in due aree commerciali alle porte di Milano. Compariva tra i paperoni colpiti dalla campagna anticorruzione condotta dal principe ereditario per cui venne rinchiuso per tre mesi nell'Hotel Ritz Carlton di Riyad.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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