Scala, Pereira ci crede ancora "Il mio futuro? Speriamo..."

Per il sovrintendente la partita non è ancora chiusa Venerdì il cda decide se prolungare o chiudere nel 2020

Scala, Pereira ci crede ancora "Il mio futuro? Speriamo..."

Alla Scala è andata in scena una serata da Festivalone, di quelle che ormai solo la ricca Svizzera può permettersi. Infatti a finanziare il tutto era Rolex che ha mobilitato i suoi artisti testimonial. A partire dai Wiener Philharmoniker, quindi Placido Domingo, Jonas Kaufmann, Juan Diego Florez, Sonya Yoncheva, Yuja Wang e Gustavo Dudamel che è il direttore più pagato degli Usa (dirige la Filarmonica di Los Angeles), stipendio da 3milioni di dollari l'anno. Ne consegue il cachet per la singola prestazione.

Una parata di stelle, con un programma piacione e artisti che strizzano l'occhio al munifico sponsor. Pubblico perlopiù di simpatizzanti della nota marca di orologi o che operano nell'ambiente, eleganza più Armani che Dolce&Gabbana, domina l'area germanica e francese. Tre le occasioni di network: il lungo intervallo, l'aperitivo e la cena per trecento invitati direttamente sul palco. Argomenti della conversazione? Domingo l'inossidabile: come fa? È adorabile, un signore, impossibile non amarlo. Wang: perché insiste a vestirsi così? Fa bene, può permetterselo. No, è kitsch. Florez, la sua Furtiva lagrima è da manuale. Kaufmann, sempre fascinoso, ma quei chili di troppo. Già... i suoi primi 50 anni.

Alla cena, il sovrintendente Alexander Pereira è al tavolo imperiale, di fronte a sé ha Kaufmann con il quale conversa in lingua madre. Parlano di impegni futuri? Probabilmente. E di sicuro non più alla Scala, considerato che il sovrintendente è in uscita. Ma poiché non se ne starà con le mani in mano, meglio pianificare. Fra una portata e l'altra, Pereira - che è il padrone di casa - si alza, conversa con gli artisti, con i loro manager. Il viso è stropicciato. Come sta? «Io, bene! Sono tranquillo. Vediamo cosa succede. Speriamo... speriamo», dice pungolato sull'argomento ipotesi licenziamento. Venerdì il cda stabilirà se prolungargli il contratto oppure rispettarlo, dunque chiudere nel febbraio 2020 e passare subito al sovrintendete designato. Gli accadimenti degli ultimi dieci giorni renderebbero più plausibile la seconda ipotesi. La gestione improvvida della questione Cecilia Bartoli non depone a suo favore. Il mezzosoprano Bartoli, il 19 giugno, l'indomani della notizia del mancato rinnovo del mandato a Pereira, ha cancellato gli appuntamenti alla Scala per solidarietà al sovrintendente, la Scala ha comunque iniziato la vendita dei biglietti dello spettacolo senza annunciare il dietrofront della Bartoli: un putiferio.

Gli spettatori internazionali della seratona si godono quel bendidio di interpreti, gli italiani riflettono sulla Scala del futuro prossimo. Opinione comune: Pereira è un fund-raiser imbattibile, il migliore sul mercato. Ma un pizzico di diplomazia in più... Lui fa, briga e annuncia prima di confrontarsi con i diretti interessati. Si narrano gli incidenti diplomatici. A proposito: Dominique Meyer, il candidato alla successione, ha navigato nelle acque della politica prima di amministrare teatri. Ferrato in materia di diplomazia, ma come siamo messi sul fronte raccolta fondi? Viene dalla Staatsoper di Vienna e i 3 milioni di capitali privati impallidiscono di fronte ai 30 di cui necessita la Scala. Riuscirà? Quanto agli artisti, lì sono di casa Netrebko, Florez, Yoncheva... Quindi non cancelleranno per solidarietà al sovrintendente, avendo buoni rapporti con entrambi.

Fragile il mondo del teatro d'opera, tutte prime donne. A partire dalla grande assente: Cecilia Bartoli, l'unica italiana ambasciatrice Rolex, ma guai a dividere il palcoscenico, o tutto o niente. Si merita un posto in Paradiso chi ha organizzato la serata, dividendo equamente fra gli artisti i minuti di musica, calibrando l'ordine di entrata e uscita.

Un gioco di equilibri riuscito anche grazie alla presenza di papà Domingo che rinuncia al canto e dirige (ma i Wiener seguono il primo violino) lasciando la scena ai tenori della penultima generazione. Salvo inserirsi per 30 secondi nel celebre Libiam da Traviata. E lì giù il teatro. Trenta secondi di Domingo valgono un viaggio. Un animale da palcoscenico, un caso di studio da Harvard.

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