Il nostro Pirandello leva le maschere. L'austriaco Johann Strauss - il re dei valzer, tra cui «Sul bel Danubio blu» - le mette. E lo fa a piene mani ne «Il Pipistrello», l'operetta in scena alla Scala da venerdì all'11 febbraio.
È una prima assoluta per il teatro milanese. A volerla fortemente, il sovrintendente Alexander Pereira, viennese appunto. Nel «Pipistrello», come ricorda il titolo, finiscono balli mascherati, scambi di persone, equivoci, ritorni di fiamma, adulteri e inviti galanti che in epoche anti-Weinstein, nonché in terre non puritane, davano solo un tocco di leggerezza alla commedia. Fra una degustazione di champagne e l'altra, si insinua la satira anti-borghese e anti-aristocratica, ci si beffa del tenore macho, del ricco annoiato, della fedeltà degli amanti facendo il verso a Metastasio e al suo aforisma («che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa»). Ma per carità: il tutto con tono leggero. Perché «Il Pipistrello» doveva risollevare gli animi e riempire le casse dei teatri. L'anno prima della composizione (1874), era crollata la Borsa di Vienna e dilagava un'epidemia di colera, tempo un anno e l'affluenza ai teatri era crollata suppergiù come quella dei nostri cinema. Il committente del «Pipistrello» chiese un prodotto che garantisse il successo. Non si poteva sbagliare il colpo. E successo fu.
A Milano, l'operetta arriva con la direzione di Cornelius Meister, in sostituzione di Zubin Mehta (problemi di salute), una bacchetta in confidenza con questo lavoro, lo ha diretto più di cinquanta volte, ultimo Capodanno compreso. La regia è di Cornelius Obonya, e poiché si balla assai, cosa inevitabile con Johann Strauss, è richiesta apposita coreografia: la firma Heinz Spoerli. Il regista spiega che edonismo e crisi politico-economica a sigla del Pipistrello sono di cocente attualità. Così, trasferisce la vicenda da Vienna a Kitzbuel, vale a dire in uno dei centri sciistici più esclusivi dell'Austria (in realtà Lech è un gradino sopra). Per la cronaca e in coerenza con il tema: proprio questa settimana, a Kitzbuel, sulla pista Streif, si tiene la discesa più spettacolare della Coppa del Mondo di Sci, negli ultimi due anni vinta da Italiani. Effettivamente vedremo teste di camosci ovunque: sono il simbolo della cittadina tirolese. E poiché i protagonisti sono milionari annoiati e poco atletici, preferiscono l'after-ski allo sci duro e puro.
Per dire che vedremo una Kitzbuel dal di dentro, gli interni di hotel di lusso dunque. Chi l'ha frequentata sul serio, questa località, è Markus Werba, nel ruolo di Falke, da buon austriaco è sciatore esperto, nonché baritono di vaglia. Alla Scala cantò due anni fa nelle «Nozze di Figaro», nei «Maestri Cantori» e tornerà in giugno per «Fierrabras». Nel ruolo protagonistico di Rosalinde c'è Eva Mei, e in quello di Gabriel von Eisenstein troviamo Peter Sonn, salisburghese. Il direttore di prigione, Frank, è Michael Kraus, la domestica Adele è Daniela Fally, anche lei austriaca. Pisano Giorgio Berrugi, nei panni di Alfredo. La parte del carceriere Frosch è stata affidata a Paolo Rossi. Che non canta, ma interviene come voce recitante, anche con momenti d'improvvisazione. Occasione prelibata per Rossi: «Se succede qualcosa di eclatante nel Paese, non perdo certo l'occasione dato che posso improvvisare». Rossi è tornato «a recitare senza il microfono.
Non ho rotto la voce, ma il microfono sì», spiega. Per la legge del contrappasso, «anni fa ero fuori dalla Scala a tirare le cose, e la polizia ci fermò. Ora entro da poliziotto, e per la prima volta vedo la Scala anche dal di dentro».
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