Scola e l'ondata di profughi «È naturale avere paura»

«Cerchiamo soluzioni, arriveranno molte migliaia di persone» E sui 500 di Pero: «Troppi? Dipende da quanto tempo restano»

Sabrina Cottone

«Non dobbiamo scandalizzarci delle nostre paure». Parla dell'immigrazione, il cardinale Angelo Scola, delle morti tragiche nel cuore del Mediterraneo che si uniscono alle notizie di nuovi arrivi, in una situazione in cui la capacità di accoglienza è in crisi, nel cuore e nelle strutture che dovrebbero favorire l'integrazione.

Cinquecento profughi in un residence di Pero sono un numero che intimorisce. Si inaugura un nuovo museo a sant'Eustorgio intitolato al cardinal Martini, ma l'oggi degli immigrati si fa urgente anche qui. «È assolutamente naturale di fronte a un processo storico così violento e così impreparato reagire con paura - spiega il cardinale Scola -. Il problema è che la paura non costruisce niente e allora dobbiamo solidarizzare, lavorare insieme e trovare vie d'uscite. Ma sarà questo un processo sistematico che durerà decine di anni. In secondo luogo, non dobbiamo mai dimenticare che l'immigrazione è l'effetto di altre cause. Quindi dobbiamo lavorare sulle cause geopolitiche, sulle cause economiche che producono questo processo». Accogliere, offrire «un primo abbraccio», come continua a fare la Chiesa, ma anche chiedere alla politica di intervenire lì, nelle case di Paesi lontani dalle quali la gente è costretta a fuggire. Per la guerra o per la miseria. Torna l'appello alla politica: «Già qualche mese fa mi permisi di dire che è necessario un piano Marshall, qualcosa di simile. Vedo che molti politici lo dicono adesso e spero che lo facciano. Spero che l'Europa e non solo l'Europa si muovano in questa direzione».

I cinquecento profughi di Pero interpellano molto da vicino i milanesi e il loro vescovo. Sono troppi in un luogo così ristretto? «In queste cose qui il problema è che non si può dare un giudizio senza conoscere la situazione - risponde l'arcivescovo -. Certo, di primo acchito a uno viene da pensare che è una cifra eccessiva. Dipende. Dipende se devono stare lì tre giorni o se devono star lì tre anni...». I tempi a cui siamo abituati non lasciano ben sperare: «Perché se quelli che richiedono asilo dopo un anno e mezzo si sentono dire, come la settimana scorsa, che ci vorranno altri sei mesi, allora la questione cambia...».

Non solo cinquecento. Milano, secondo il cardinale, si prepara a ricevere una nuova ondata di migranti, «molte migliaia di persone» che non trovano altre strade in Europa: «I giorni che si aprono non si presentano facili, perché i dati che abbiamo ci parlano di molte migliaia di persone che arriveranno. La chiusura della via balcanica, i comportamenti di altre nazioni europee, potrebbero scaricare su Milano qualcosa che non si riduca solo a un passaggio, come fu l'anno scorso, soprattutto con i siriani». Che fare? «Possiamo renderci conto subito che non sono né i muri né le polizie che possono fermare un processo così complesso che riguarda tutto il mondo. Si stima che almeno 32 milioni di persone sono in movimento in questo momento sul pianeta».

La Chiesa, naturalmente, continuerà a farsi «prossima» di questa gente: «Un primo abbraccio, una prima accoglienza, non potrà non darla. Non possiamo leggere di notizie tragiche di gente che muore nel Mediterraneo restando indifferenti.

Però il nostro è proprio un primo intervento, anche se è stato fatto in Lombardia un grande sforzo di accoglienza e anche a livello italiano, almeno un quarto degli immigrati sono sistemati in realtà ecclesiali». Ciò che segue tocca alla politica. E soprattutto alle scelte quotidiane della gente della porta accanto.

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