Se ci sono 5 miliardi di smartphone nel mondo, come ha appena ricordato Carlo Verdelli, direttore dimissionario dell'informazione Rai, non è stato il cardinale Angelo Scola a dare un contributo al business planetario. Lui non è fermo nemmeno al computer o alla macchina da scrivere, stile Indro Montanelli. Privilegia la penna, invita a «rimettere i piedi per terra» e ama i «faccia a faccia». Libertà possibile grazie ai collaboratori, ammette.
«Io possiedo per casi urgenti solo un telefonino di vecchia epoca» racconta mentre si accende l'attenzione della platea, giornalisti riuniti all'Istituto dei ciechi, nel sabato successivo alla festa del loro santo patrono, Francesco di Sales, che cade il 24 gennaio. Tra i «casi urgenti» che l'hanno colpito via telefono, raccontano i biografi del cardinale, drammi personali come la morte del fratello e avvenimenti di storia della Chiesa come le dimissioni di Papa Benedetto.
Quest'anno il convegno si intitola «Vero, verosimile, post-verità» e gli ospiti sono Verdelli, Daria Bignardi, direttrice di Raitre, Massimo Bernardini, conduttore di TvTalk. Scola non è un neoluddista terrorizzato dalla tecnologia e allergico alla rete. Ha un account twitter e un sito internet, sia pur gestiti da altri, e vede il grano in mezzo alla zizzania del campo delle notizie: «Se la rete unifica, la ridda di informazioni false, non verificate o soltanto verosimili, divide». Però ammette: «Non sono in nessun modo connesso. Ancora scrivo a mano i miei testi, ho una buona segreteria che me li batte. Capite come mi posso sentire fuori contesto. Per fortuna ho avuto l'occasione di ascoltare cose molto interessanti». Non basta: «Ho tentato di leggere un articolo del Guardian ma siccome era molto tardi mi sono addormentato». E qui scatta un grande applauso, anche perché la stanchezza mentale della sera è un tema caro ai giornalisti di ogni età. Lui ringrazia molto scherzosamente il portavoce: «Stamattina, mentre facevo la barba, maledicevo don Davide che mi trascina sempre in queste cose, perché lui è molto bravo, molto competente».
Al convegno si tratta di social network, di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, dove un italiano su due ormai ha un profilo, che parla «come un capo di Stato» (copyright Verdelli). Si discute di fake news (comunemente dette bufale) che «generano clic e pubblicità e soldi, oltre che opportunità di uso politico», dice Bignardi. Si dibatte un articolo del Guardian di Katharine Viner sulla «Fine della verità», che parte dall'accusa all'ex premier britannico David Cameron di aver «commesso un atto osceno con la testa di un maiale morto» (è Bernardini a citare giornalista e quotidiano).
Guarda caso, è la festa di san Tommaso d'Aquino, colui che ha definito la verità «una corrispondenza tra la realtà e l'intelletto». Così l'espressione post-verità piace al cardinale: «Stai a vedere che finalmente ci costringe tutti ad accettare che esiste una verità». Perché «la parola reale è la grande sconosciuta della nostra epoca». Un'altra confessione: «È molto difficile ritrovarsi ben compresi dai media nelle proprie espressioni, dichiarazioni, iniziative».
L'arcivescovo racconta una storia tratta dalla Filotea di Francesco di Sales e ispirata alla Genesi. «Isacco aveva detto che Rebecca era sua sorella. Abimelech, che vedeva che gioiva con lei, ossia che l'accarezzava con tenerezza, concluse che era sua moglie. Un occhio maligno avrebbe invece pensato che era la sua amante o casomai, se realmente era la sorella, che erano due incestuosi».
E allora: «Qui c'è dentro tutto e siamo nel Seicento: la verità, il fatto, la post verità, il verosimile». E l'insegnamento finale: «Seguire l'interpretazione più benevola del fatto in favore del prossimo». Forse è più facile se non sei sempre on line.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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