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Scola, sfogo sulle maldicenze: i preti mormorano su di me

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Si parla di giornalisti e ahimè di maldicenze. Il cardinale Angelo Scola ricorda san Francesco di Sales, che «può essere di aiuto a chi fa il vostro lavoro». Francesco di Sales è il patrono dei giornalisti e la sua festa è l'occasione per il tradizionale incontro dell'arcivescovo con la stampa, ospitato dall'Istituto dei ciechi. Nei suoi scritti, il santo si è a lungo occupato dei famigerati peccati di lingua. Tema non solo religioso. Cita l'arcivescovo: «Il maldicente, con un sol colpo vibrato dalla lingua, compie tre delitti: uccide spiritualmente la propria anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale sparla. Dice San Bernardo che sia colui che sparla come colui che ascolta il maldicente, hanno il diavolo addosso, uno sulla lingua e l'altro nell'orecchio».
Chi sparla «toglie la vita civile, che consiste nel buon nome». Stiamo già meditando su tutti i nostri errori e le nostre (più o meno consapevoli) malefatte. Ma il discorso del cardinale si sposta dai giornalisti ai sacerdoti. Uno sfogo dell'arcivescovo verso i suoi preti? Sembra proprio di sì. «Nel nostro mondo clericale, si sa che molti preti mormorano spesso. E mormorare contro il vescovo è uno sport abbastanza diffuso» osserva con una certa amarezza. E se anche la condizione del vescovo si presta a essere sotto i riflettori, «io non giustifico tanto l'affermazione che certe volte sento fra i miei preti, che quello è il minore dei mali. Non è mica vero». Andiamo ad approfondire. La mormorazione, secondo san Tommaso d'Aquino, è più grave della maldicenza, perché il suo fine non è solo dire male del prossimo a sua insaputa ma addirittura rompere l'amicizia. E insomma, al di là delle dispute teologiche, lamentarsi che i preti mormorino, anche se in modo informale e in un contesto bonario, è una frase impegnativa.
Il cuore dell'incontro è stato il dialogo tra l'arcivescovo e Domenico Quirico, l'inviato della Stampa rimasto prigioniero per 152 giorni in Siria. «Se non passo per il dolore, non ho il diritto di raccontarlo» ha detto tra l'altro il giornalista, sottolineando l'importanza della «compassione» nel raccontare i fatti di cui si è testimoni. «Noi europei siamo duri a commuoverci, siamo uomini impagliati, come dice Eliot. Ma si può conoscere senza il cuore? Solo con la testa? Io non credo. La conoscenza o è commossa o è a-stratta». È ancora san Francesco di Sales, sulla bocca di Scola, a indicare qualche via di uscita: «Quando parlo del prossimo, la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità».
Ai giornalisti il cardinale il cardinale ha anche sottolineato «l'ossessione della dietrologia, di che cosa ci sarà dietro», che non ha nulla a che vedere con il positivo «contributo dei media alla trasparenza nella vita e nella Chiesa». Ha ricordato che «il peccato e il reato sono due dati che vanno ben distinti, e oggi non accade».

Ha messo in guardia dal giudizio temerario, itterizia spirituale che trasforma tutte le cose in gialle, cattive: «Chi vuole guarirne, non deve curare gli occhi, ossia l'intelletto, ma gli affetti, che sono i piedi dell'anima». Da qui l'invito a essere uomini buoni, che coltivano l'amicizia civica: «La società plurale non può essere il ring di una battaglia di wrestling».

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