«Se avessi saputo che i miei figli voleva liberare Domenico, avrei cercato di fermarli in ogni modo anche chiamando i carabinieri» assicura Mario Cutrì, padre dell'ergastolano fatto fuggire dopo un sanguinoso assalto al furgone della polizia penitenziaria. Un agguato concluso con una violenta sparatoria e la morte del fratello Antonio, ferito da un dei suoi complici. Dopo l'autopsia, il corpo è stato restituito alla famiglia e domani alle 14.30 nella chiesa di Inveruno verranno celebrati i suoi funerali.
Barba lunga di qualche giorno, maglione scuro, Mario Cutri, 48 anni, parla ai microfoni del Tg3 Lombardia, seduto nella cucina della sua abitazione in via Leopardi. Poche parole smozzicate per spiegare come lui e la moglie fossero completamente all'oscuro del colpo. Il 3 febbraio Antonino, 31 anni, insieme al terzo fratello, Daniele, 24 anni, e altri sette complici attese l'arrivo di Domenico, 32 anni, al tribunale di Gallarate. L'uomo, condannato all'ergastolo per aver fatto ammazzare un giovani polacco che aveva insidiato la fidanzata, dove essere processato per truffa. Alle 15 si scatenò l'inferno, i Cutrì riuscirono a strappare il fratello agli agenti della penitenziaria, ma nel conflitto e fuoco che ne seguì proprio Nino venne ferito al collo da un complice. Scaricato a casa, venne poi portato dalla madre Maria Antonietta Lantone, 49 anni, all'ospedale di Magenta dove però giunse ormai senza vita. Nel giro di una settimana i carabinieri arrestarono tutti i componenti la banda, compreso lo stesso Domenico.
«Se avessi saputo cosa stavano macchinando Nino e Daniele li avrei fermati, anche a costo di chiamare i carabinieri - dice ora il padre - Poi cosa pensavano di ottenere? Domenico mica poteva andare in giro come nulla fosse, sempre un latitante sarebbe rimasto. Ora però sono preoccupato per lui, qualcuno deve aiutarlo oppure, sepolto com'è in una cella d'isolamento, temo possa succedere qualcosa di irreparabile».
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