È la prova più difficile, oggi, per le città europee: come accogliere davvero? Come aprirsi a un'integrazione che sia feconda e sostenibile per tutti? È un'iniziativa significativa, quindi quella del San Carlo di Milano, che da qui a pochi giorni insegnerà ai suoi piccoli scolari a «giocare» con i suoni, le bacchette e gli ideogrammi, simboli di una civiltà cinese che è stata già grande in passato nella cultura e nella scienza e oggi è sempre più potente anche nella politica e nell'economia mondiale.
Insegnare ai nostri bambini a familiarizzare fin dall'asilo con il cinese, questo l'obiettivo, non solo e non tanto per iniziare a formare una futura classe dirigente con una vocazione «globale», ma anche per assecondare la tolleranza che nasce da una conoscenza senza pregiudizi. In questo terreno la scuola, anche e soprattutto quella pubblica, può e deve fare tanto ed è l'unico strumento a disposizione. La sfida vera, anche per Milano, è un'integrazione autentica, che non sia solo un modo per affastellare una accanto all'altra lingue e culture fra loro incomunicabili, in cui - ovvio - a cedere il passo sono sempre immancabilmente le nostre radici. È anche un antidoto a possibili rigetti, in particolare nelle periferie e negli strati sociali meno abbienti. Vale il principio che dovrebbe valere, per esempio, per il caso moschea.
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