Sgarbi porta al Vittoriale gli scultori di D'Annunzio

Da oggi in mostra a Gardone ottanta opere di inizio Novecento «L'idiota» di Wildt e poi Mazzucotelli, Andreotti, Apolloni, Pizzi

Ventinove marzo 1906. Alla Scala Gabriele D'Annunzio ringrazia un pubblico inebriato dalla prima de «La figlia di Iorio». Esattamente un mese dopo Milano apre il sipario sull'Esposizione Universale. Oggi il Vate scriverebbe per Expo 2015 un'opera su San Francesco, forse, ma sicuramente Expo lo ricorda nella sua ultima dimora di Gardone Riviera con la mostra «Gli scultori di D'Annunzio. Anima e Materia» curata da Vittorio Sgarbi con la collaborazione di Alfonso Panzetta.

L'antologia scultorea, in programma da stasera fino al 31 ottobre, fiorisce d'opere di ventitrè artisti e s'apre in quello che è uno dei padiglioni più incantati di Expo, al Vittoriale. Quel guscio totalizzante, tomba e culla del «versator in note» che più di ogni altro fece interagire la scrittura con le altre arti, come la presenza di un teatro nello stesso Vittoriale testimonia.

Attraverso ottanta sculture, provenienti da collezioni private e musei italiani, si compie la narrazione delle affinità elettive tra D'Annunzio e gli artisti a lui contemporanei. Oggi alla cerimonia d'inaugurazione saranno presenti gli assessori regionali alla Cultura Cristina Cappellini e alla Casa Fabrizio Sala, in un luogo di perpetua scena, in cui rappresentazioni e manifestazioni sono sotto la supervisione di Giordano Bruno Guerri.

Chiunque abbia attraversato in mistica curiosità le stanze del Vittoriale si sarà accorto che il genius loci di quei vani è un tale collezionista della bellezza materica, da fare dell' horror vacui un'aspirazione dell'anima. Da Arrigo Minerbi, autore del ritratto della madre del poeta Luisa e del busto di Eleonora Duse per cui D'Annunzio fece realizzare da esperte mani orafe rari serti ombelicali, ad Alessandro Mazzuccotelli esperto «intagliatore» di fregi in ferro che ha lasciato a Milano indelebili ricordi, gli scultori si susseguono. Una mostra del 1988 si era occupata del dialogo tra il poeta d'Abruzzo e gli intagliatori di bellezza, ma «Gli scultori di D'Annunzio - Anima e materia» compone un elenco mai visto fino ad ora: Adolfo Apolloni, Giacinto Bardetti, Enrico Mazzolani, Renato Brozzi, Sirio Tofanari, Costantino Barbella, Renato Bertelli, Adolfo Wildt, Ercole Drei, Umberto Bellotto, Duilio Cambellotti, Carlo Pizzi, Francesco Nonni, Leonardi Bistolfi, Michele Guerrisi.

Partendo dalle personalità artistiche già note, lo studio estetico e storico condotto dall'esposizione si muove su due traiettorie parallele, per dare una geometria all'avidità sensoriale e sensitiva di un genio che per Expo 2015 avrebbe potuto scrivere un menù vista la sua spiccata sensibilità nel gusto. Se da un lato le accurate ricerche d'archivio portano a galla relazioni e contatti tra il Vate e il mondo culturale del suo tempo, dall'altro il certosino scandaglio sul patrimonio conservato nella sua casa porta a riva personalità le cui opere furono scelte dal padrone di casa stesso, oppure gli arrivarono per doni d'amore, d'amicizia, d'onorificenza.

Esplode in sensuale grazia il gusto dannunziano, con una radice nell'Ottocento ma già proteso verso un Novecento dalla linea veloce, funestata dalla sua stessa velocità. Si delinea un'italianità intera, visto che gli scultori coprono tutta la dorsale dello Stivale, dal romano Adolfo Apolloni a Renato Brozzi, mandato da D'Annunzio stesso a Pompei per la costruzione del Vittoriale.

Poi? Poi c'è la malinconia ironica di un uomo che in un certo senso «fece» la scultura di Benito Mussolini visto che, quando Benito Mussolini andò a trovarlo nel 1925, scrisse su uno specchio in cui il Duce si guardò: «Teco porti lo specchio di Narciso? Questo è piombato vetro, o mascheraio, aggiusta le tue maschere al tuo viso, ma pensa che sei vetro contro acciaio». A dimostrazione che nella lunga diatriba se sia più potente la politica o la poesia, la poesia vince.

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