Clap-clap-clap-clap-clap. Cinque applausini di numero, giusto per dovere istituzionale. Poi Beppe Sala rimette le mani in grembo, mentre il suo grande accusatore, intabarrato nella toga purpurea, si torna a sedere. Roberto Alfonso, procuratore generale, ha appena terminato il suo discorso inaugurale dell'anno giudiziario. Al sindaco è toccato (assai malvolentieri, dicono: al punto che si è a lungo domandato se non si potesse farne a meno) venire a Palazzo di giustizia ad assistere allo show del magistrato che vuole portarlo sul banco degli imputati. Non si erano trovati mai così vicini. Gelo palpabile. Nel suo discorso. Alfonso ringrazia una lunga lista di autorità presenti: «il sindaco» (indicato soltanto così, senza nome nè cognome) è confinato agli ultimi posti della lista. E Sala lo ricambia andandosene via a cerimonia ancora in corso. Le è piaciuto? Lui sorride, e fa il gesto di chi si cuce le labbra come a dire: non fatemi parlare.
Gelo inevitabile: perché più la tormentata vicenda delle indagini su Expo prosegue tra marce avanti e indietro, ripensamenti, mezzi colpi di scena, imputazioni che cambiano in corso d'opera, e più il sindaco è convinto di essere oggetto di una sorta di persecuzione di cui Alfonso è promotore e regista. Così si spiega l'ultimo comunicato dei difensori di Sala, che liquidano l'ultima accusa mossa al sindaco come «un elisir di Dulcamara»: essendo Dulcamara - nell'opera di Donizetti - un ciarlatano e un truffatore, pare che Alfonso non l'abbia presa bene.
Così, sull'aula magna del palazzaccio pavesata a festa dove accusato e accusatore fanno la loro parte senza guardarsi negli occhi incombe una domanda: perché? Quale molla, quale obiettivo spinge Alfonso nella sua caccia senza quartiere al sindaco, mesa in atto scavalcando la Procura della Repubblica (il cui capo, Francesco Greco, ieri diserta la cerimonia: impegni di famiglia)? Sete di giustizia, ansia di protagonismo, una inclinazione a mettere sotto controllo il potere politico? Erano gli stessi interrogativi che si ponevano in molti a Bologna, dove Alfonso dirigeva la Procura prima di approdare - nel giugno del 2015 - a Milano, e dove incriminò sia l'ex sindaco Giorgio Guazzaloca sia il presidente della Regione Vasco Errani, con accuse rivelatesi poi senza capo nè coda.
Solo nei prossimi mesi, con il processo che inizierà il 20 febbraio, si capirà se le accuse a Sala siano destinate a una fine meno ingloriosa.
Ma intanto la cerimonia di ieri racconta, con i silenzi dei due uomini che si evitano, di un gelo senza precedenti tra due cariche pubbliche cruciali per la città, due uomini che per i loro ruoli dovrebbero dialogare, e che invece ormai sono separati da un profondo solco di diffidenza. D'altronde per Alfonso il sindaco è uno che se ne infischia delle regole; per il sindaco il procuratore, più o meno, idem.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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